Ma il dissidente, chi rappresenta?

“Noi non lasciamo a nessuno il diritto di veto: conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome contano di più i voti che i veti, vi garantisco che noi andiamo avanti a testa alta”. Sono le parole (e il dozzinale calembour) con cui Matteo Renzi, nei fatti, ha rivendicato la sostituzione di Corradino Mineo nella Commissione affari costituzionali del Senato.

Dato che non ce ne sono state altre, di elezioni dico, è evidente che il premier, col suo richiamo al “voto degli italiani”, si riferisse a quel 40 e rotti per cento conseguito dal Pd alle Europee. Per lui, infatti, quel voto vale come una licenza ad agire onnicomprensiva. Voi che pensavate? Di eleggere il Parlamento dell’Ue? No, votavate per il governo italiano. Lui ha preso i voti, ora decide, che diamine. È la democrazia, bellezze.

Un po’ l’avevo già scritto. Ha vinto lui, però, era anche il commento nato dalla volontà di esorcizzare una lettura troppo personalizzata di quel risultato, quasi per allontanarla. Invece, Renzi la conferma. Ha vinto lui, ha preso i voti degli italiani su tutte le sue riforme, e le fa.

E la cosa curiosa, è che forse non ha neanche tutti i torti. Così come l’aspetto ironico, è che ha preso anche i voti di quelli che si oppongono alle sue riforme. A essi, che pensavano magari di votare per eleggere solo i propri rappresentanti a Bruxelles, in pratica, è come se lui dicesse: “avete sbagliato a votarmi”.

Quindi, Mineo e Chiti e tutti gli altri che vi siete autosospesi, c’è poco da protestare: l’avete voluto anche voi. E poi, a proposito di quelli che si sono sospesi, ha ragione la Boschi nel dire: “nessuno glielo ha chiesto”. D’altronde, è pur vero che, se qualcuno glielo avesse chiesto, non sarebbe stata una sospensione spontanea, semmai indotta; ma queste son quisquiglie, loro hanno da fare le riforme. Con Berlusconi e Calderoli, e chissà che non ci tocchi pure qualche altro saggio dell’allegra combriccola di quelli della baita di Lorenzago.

Anzi, già che ci siamo: perché non abolire l’articolo 67 della Costituzione (tanto, per attaccare l’antidemocraticità di Grillo, troveremo altro). Nei partiti vale il principio di maggioranza, e se questo si confonde con la dittatura dei più poco importa, qui non si si va per il sottile. Perché un conto e votare contro il Governo per restringere l’indipendenza dei giudici con la minaccia della responsabilità civile, un altro è fermare le armate renziste e lo schiacciasassi che deve cambiare verso all’Italia.

Infine, diciamolo chiaramente, come lo dicono molti di quelli che fanno parte della maggioranza (o meglio, di tutte e due le maggioranze) del Pd: “ma Mineo, chi rappresenta?”. È stato eletto in un partito, attraverso le liste bloccate e con una legge giudicata incostituzionale, e ora crede di poter vantare un diritto costituzionale come l’indipendenza dal “vincolo di mandato”.

E no. Questa domanda apre uno scenario diverso. Perché, o Mineo rappresenta, come tutti i parlamentari eletti e come recita quello stesso articolo della Carta, “la Nazione”, oppure nessuno. Ma anche in questo caso: come tutti. Cioè, se Mineo non rappresenta altri che se stesso, allora questo vale per ogni parlamentare eletto con le stesse dinamiche e le medesime procedure.

Quindi, se vale per lui, vale per il Parlamento nel suo complesso, fatto di parlamentari che rappresentano quello stesso nessuno rappresentato dal senatore siciliano. Ma a quel punto, dalla nullificazione della rappresentanza come si potrebbero salvare il Governo, la Presidenza della Repubblica, lo stesso Stato nelle sue più alte istituzioni? Da dove trarrebbero queste la loro rappresentatività democratica, visto che da quel Parlamento hanno ricevuto e ricevono fiducia e legittimità? Se i parlamentari non rappresentano più “la Nazione”, a che titolo ne decidono le leggi, il governo e la forma istituzionale?

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