Voting with their feet, pochi dei critici occidentali dell’Occidente sceglierebbero altro

Scrive Severgnini, nel suo corsivo per il Corriere di domenica primo maggio, a proposito dei tanti che, vivendo in Paesi democratici occidentali, si lasciano convincere dalla narrazione di alcuni autocrati e dittatori che presentano il proprio potere, persino nelle forme più violente, quale lotta di liberazione dalle prevaricazioni del colonialismo dell’Occidente: «È vero, le nostre democrazie non sono perfette. Ma volete la prova che qui si vive meglio che là? Moltissimi russi si trasferirebbero domani a Roma, Berlino, Londra, San Francisco, Melbourne. Quanti occidentali sono disposti a traferirsi a Mosca, oggi? Quasi nessuno. Magari quelli che sventolano le bandierine russe sui profili social? Ma figuriamoci».

Credo colga un fatto innegabile: se i critici occidentali dell’Occidente fossero chiamati a scegliere, votando con i propri piedi, nell’immagine di Tiebout, in quale parte del mondo vivere, in pochi sceglierebbero gli Stati di cui sostengono, a parole, le ragioni, contro le nazioni in cui vivono ora. Ricordo che, qualche anno fa, per motivi, diciamo così, familiari, non certo per le mie conoscenze geopolitiche, un amico (di sinistra alternativa, se vi piacciono queste definizioni) mi chiese se, a parer mio, fosse davvero così come lo raccontano sui media occidentali, il vivere in Corea del Nord. Io, che al massimo sono stato da turista sul lato sud della DMZ, risposi che, nel dettaglio, ovviamente non potevo saperlo. Però, avevo notizia di molti tentativi di attraversamento in direzione sud dell’ultimo tratto del fiume Han, pochi, invece, in direzione contraria. Un po’ come accadeva per muri e cortine in Europa, per dire, saltati in fuga da est verso ovest, quasi mai all’inverso. Poi, certo, anche a Seoul, i fuggiti dai Kim incontrano le loro non poche difficoltà, soprattutto per quell’ambiente aggressivamente competitivo che è la società sudcoreana, e qualcuno di loro potrebbe pure rimpiangere la sua vita al nord, se non materialmente, per motivi sentimentali o di abitudine al mondo in cui si è per anni vissuto, come ben racconta Il prigioniero coreano, struggente pellicola del 2016 di Kim Ki-duk.

Non è però da escludere che a quella fascinazione per modelli, in fondo, sconosciuti dagli stessi affascinati, concorrano, più che le virtù di questi, i vizi che s’incolpano in quelli in cui si vive. S’incolpano, si badi, non perché tali davvero, ma perché così percepiti; se fossero insopportabili, come sempre accade agli uomini quando le condizioni diventano incompatibili con le proprie necessità o anche solamente idee di vita, più che incolparle, proverebbero a sovvertirle, al limite, ad abbandonarle ai propri destini, appunto votando con i piedi come si suggeriva e come fanno masse enormi di persone in tutto il mondo, in ogni epoca.

Ancora Severgnini, nel fondo citato all’inizio: «Come si spiegano, allora, certi atteggiamenti? Ingenuità? Chissà. Ignoranza? Anche. Masochismo? Forse. La spiegazione più probabile? L’odio di alcuni occidentali verso l’Occidente nasconde un’insoddisfazione profonda verso la propria vita. Rabbia, frustrazione e delusione vanno sfogate, in qualche modo: devono trovare un capro espiatorio. Peccato che l’Occidente libero e democratico sia il capro sbagliato».

Magari si voleva altro, si sperava, sognava altro, per quanto, quel che si ha, spesso, è oltre quel che serve «ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa», come recita la Costituzione. Perché in fondo, a me, tutta questa rabbia da insoddisfazione che, come la firma del Corriere, anch’io incontro in molti discorsi e confronti con conoscenti e sconosciuti, appare non di rado ingiustificata, per l’errata scelta del metro utilizzato nel rilevare la misura della propria esistenza e delle condizioni che per questa ci son date.

Con le parole di Pietro Metastasio, in una lettera al fratello Leopoldo del 2 giugno del 1755: «Mi piace che vi piaccia l’aggiunta d’amico nella mia sottoscrizione a quella di fratello: ma non son contento che vi sorprenda. Avete avuto sufficiente tempo per avvedervene senza la mia dichiarazione, e mi fate gran torto se contate questa circostanza come nuova scoperta. La nostra fortuna non ha voluto ch’io possa darvene prove strepitose: ma a quest’ora è già tempo di riderci di lei. E poi non possiamo a buona equità lagnarcene. Noi siamo ricchi abbastanza se ci serviamo de’ bisogni per misura, e non de’ desideri, coi quali addosso son mendici Crasso e Lucullo» (cfr. P. Metastasio, Lettere, in Tutte le Opere, Mondadori, 1954, vol. III, p. 1119, lettera n. 859).

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