Il barbiere di Bussoleno. Ovvero: della libertà di pensiero e di parola

“Al barbiere di Bussoleno possiamo perdonare se dice di tagliare le reti, a un poeta, a un intellettuale come lui, no”. Sono le parole, riportate dal Corriere della Sera dello scorso 6 giugno, dei sostituti procuratori torinesi che hanno chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per Erri De Luca.

Lo scrittore andrà a processo per aver detto, in alcune interviste come quella rilasciata all’Huffington Post del primo settembre del 2013, che “la Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti”. Per gli inquirenti e per il giudice dell’udienza preliminare è istigazione a delinquere, cioè un reato legato alle sue opinioni, non ai suoi atti. D’altronde, non è mica un barbiere di Bussoleno.

Ora, io, che grazie a dio sono meno importante di quel barbiere, penso invece che processare uno scrittore solo per le sue parole sia assurdo. Soprattutto rispetto a tutto quello che accade in giro e a quante parole sprecate si sentono. Dire che quella di De Luca è istigazione al sabotaggio, e processarlo per questo, sarebbe come dire che chi invoca la pena di morte per reati efferati, come pure ha fatto un senatore di cui non ricordo il nome, istighi al linciaggio o all’odio razziale coloro che sostengono che gli immigrati rubino il lavoro agli italiani, e pertanto siano da sottoporre al verdetto di un giudice per le loro affermazioni.

Certo, uno potrebbe eccepire: “ma ci sono delle leggi”. Già, è vero. Però De Luca è processato per aver detto quelle cose proprio contro un’opera voluta da quelli che fanno le leggi, mentre, quando gli stessi parlano di pena di morte o di furto di lavoro, non avviene altrettanto. Se fossimo in altri contesti, cominceremmo a temere per la nostra libertà di dire quello che pensiamo.

Invece non accade nulla. Anzi, tutto va per il meglio. Il pensare comune è maggioranza, e come potrebbe essere diversamente, e chi si disallinea lo fa per sua personale inclinazione all’errore. Come De Luca, che critica i lavori per il Tav dicendo che va fatto di tutto per fermarli, o come Mario Mauro, che si oppone al disegno di modifica costituzionale della maggioranza e va sostituito. La cosa curiosa è che Mauro non ci penserebbe un minuto a condannare De Luca, ma adesso che lui è stato solamente sostituito all’interno di una commissione parlamentare parla di “purga staliniana, imboscata fascista” (perché le intese si allargano, evidentemente) decise per punire il suo dissenso.

E dopotutto, se è la maggioranza ad aver deciso, di che diavolo di democrazia vaneggiano quelli che sono in minoranza. Fuori Mauro, e poche storie. E fuori anche Corradino Mineo, soprattutto se a decidere sarà “il gruppo del Pd”, come ha detto il ministro Boschi: Mineo è un senatore del Partito Democratico, quel partito a maggioranza ha deciso; rispetti le decisioni o vada via. Che poi, in fondo, quella detta dal ministro per le riforme e dettata dal nuovo corso del Pd di Renzi, a conferma di come sia propria dell’attuale Zeitgeist, non è molto diversa dalla visione di Grillo: il movimento ha deciso, dice quest’ultimo, e chi rappresenta il movimento nelle istituzioni si adegui, specialmente se “a decidere è la Rete”.

Vae victis, disse Brenno occupando Roma, come ci racconta Tito Livio. E i vinti, nella democrazia intesa come la conquista della maggioranza, sono quelli che rimangono in minoranza: guai a loro. Che siano minoranza in un partito, in un parlamento o, peggio ancora, nel comune sentire e fra il pensiero diffuso, i vinti hanno torto, e non resta loro che farsene una ragione e adeguarsi. E si tengano anche le loro ragioni, se vogliono, ché i vincenti han già la forza della vittoria e della ragione non sanno che farsene; a loro basta essere in tanti a dire la stessa cosa per renderla vera.

Ma è questo quello che volevamo? È questa la democrazia per cui da secoli ci si batte in ogni parte del mondo? Questo il modello a cui si guarda, nel quale chi vince decide e gli altri tacciano? Taccia l’intellettuale che parla contro un’opera pubblica, taccia il parlamentare che vota contro una riforma voluta dalla maggioranza, taccia, domani, anche ogni cittadino che si mettesse in mente di diventare più importante di quello che è e continuare a dire la sua.

Se questa è la vostra democrazia, tenetevela. Lasciate quelli come me essere minoranza, lasciateci la speranza di poter lottare per la libertà di pensiero e di parola del poeta, del senatore e del barbiere di Bussoleno.

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