La democrazia non è un ultimatum

“O si fanno le riforme, o si torna a votare”. “O i sindacati firmano l’accordo su Alitalia, o in 15 mila andranno a casa”. “O si approva l’Italicum e tutto quello che c’è nel patto del Nazareno, o si è fuori dal partito”. Insomma, più che alla ricerca del consenso, siamo agli ultimatum.

Ora, senza volerla fare troppo lunga: ma siamo proprio sicuri che la democrazia sia questa cosa qui? Cioè un sistema in cui un leader forte, carismatico e popolare, si possa ritenere investito di un mandato pieno a fare tutto quello che lui vuole, altrimenti ogni altra cosa salta per aria?

Mi si obietta: “ma Renzi ha preso il 40,8%; i cittadini gli hanno chiesto di cambiare l’Italia”. Insomma, mica tanto. Cominciamo col dire che quei voti sono stati dati per eleggere i rappresentanti italiani nel Parlamento di Bruxelles, non altro. Tanto è vero che lo stesso presidente del Consiglio, nelle prime fasi della campagna elettorale, aveva detto che quello per le Europee non era un referendum sul Governo. Poi, solamente dopo, con una trasformazione dei risultati in altro, tipo come uno vincesse un congresso per fare il segretario e poi, su quel risultato, decidesse di fare il premier senza averne chiesto i voti, ci è stato spiegato che quel consenso era una sorta di licenza liberatoria per ogni volontà dell’esecutivo e del suo capo.

E poi, nel caso, qualcuno avrebbe dovuto sapere prima su quali riforme veniva dato il voto. Per quella del Senato dei sindaci? E perché ci troviamo a discutere di quello dei consiglieri regionali? Per la riforma del mercato del lavoro? E verso quali prospettive? Per quella della pubblica amministrazione? E per seguire quali linee guida? Per quella del fisco? E per andare verso quale modello?

Perché il rischio, continuando in questo modo, è che la democrazia venga concepita come un qualcosa in cui il voto si allontani sempre di più dal quel “conoscere per deliberare”, per usare le parole di Luigi Einaudi (curiosamente raccolte in un opera dal titolo Prediche inutili), e diventi delega a pensare, fiducia totale, mandato in bianco. In un sistema di confronto e dibattito continuo, mediato e di mediazione, fondato sul rispetto e sul dialogo, come quello democratico dovrebbe essere, gli imperativi non possono trovare molto spazio, ancor meno i ricatti, mai le intimidazioni.

Altrimenti, molti potrebbero stancarsi proprio di quel tipo di sistema, in cui si conta solo se si vince, o si sta fra i vincenti, e dove gli sconfitti hanno solamente due strade: adeguarsi o essere esclusi.

E in quel caso, la minaccia che tutto possa finire se non si fa come il capo chiede, pretende, impone, potrebbe suonare come promessa. Per i vinti, chiaro; ché i vincenti han troppo da perdere.

Questa voce è stata pubblicata in libertà di espressione, politica e contrassegnata con , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento