“La riforma del Senato non dà garanzie democratiche” e, se ci aggiungiamo l’Italicum, “il combinato disposto di tutto questo provocherebbe un deficit democratico preoccupante”. Lo dice Stefano Fassina, che di certo non è pregiudizialmente contrario a quelle riforme, visto che una di queste, la legge elettorale, l’ha pure votata.
Come non è un oppositore pregiudiziale del governo Renzi nessuno di quelli che nel e dal Pd lo criticano con osservazioni non molto diverse, da Gianni Cuperlo a Pippo Civati, passando per Pier Luigi Bersani e Rosy Bindi; semplice considerazione che a quello hanno più volte dato (e votato) fiducia.
Obiezioni che non riguardano solo le riforme istituzionali, ma anche le misure prese in tema di economia e lavoro, di giustizia o semplicemente sulla gestione del partito e la considerazione delle minoranze interne oppure, ancora, circa il rispetto dimostrato verso chi non la pensa come il leader pro tempore.
Renzi oggi invita a una condivisione nel lavoro di direzione del Pd. Bene. Però, se si deve con-dividere, bisogna poter anche co-decidere. Se l’assunto di base è quello per cui le riforme del corso renziano devono essere fatte “costi quel che costi”, allora non si può chiedere a quelli che queste criticano di spingere, tutti insiemi, il carro del trionfatore. Infatti, a meno che essi non recitino una parte, perché dovrebbero dare una mano? Per vedere approvati i provvedimenti che non vogliono? Per realizzare le cose che contestano?
Quelli che sono preoccupati per la qualità della democrazia, perché dovrebbero sostenere l’azione di chi, con le sue riforme, la mette a rischio? Chi teme un’ulteriore precarizzazione del lavoro sotto i colpi di misure prese da una maggioranza in cui ci sono esponenti che parlano, apertamente, di “libertà di licenziare”, perché dovrebbe contribuire a renderla possibile? Coloro che temono che sia proprio lo schema che sottende questa stagione di larghe intese a non funzionare, che non si possa risanare il Paese con chi, allo stesso tempo, si accusa d’averlo affondato, perché dovrebbero sorreggere nella loro azione quanti proprio quello schema promettono di far durare ancora a lungo?
Capisco che ci sia, come dire, una questione generazionale e che molti “giovani” spingano per un sostegno al presidente del Consiglio; è umano, come lo è la conversione al renzismo sulla via di qualche presidenza di quelli che ieri ne criticavano (in profondità e nella sostanza, dicevano) le ragioni e gli obiettivi. Ed è quindi normale che ci sia una quota di potenziali sostenitori in cerca di certezze, pronti a soccorrere il vincitore. Ma gli altri, davvero, se non stanno fingendo, perché dovrebbero?