Proprio perché un domani ci sarà

Permettetemi di riprendere brevemente il tema toccato in un mio post precedente: Per un’ermeneutica della sfiducia.

Lo faccio perché un caro amico e una persona che stimo ha osservato che, leggendo quanto ho scritto, ha avuto l’impressione che io non credessi nella possibilità di un domani diverso. Ecco, voglio rispondere subito: è proprio perché ci credo che oggi mi comporto come lì delineo. E come me, penso, tutti quelli che in un modo simile agiscono. Il problema, semmai, e sulla qualità di quel “domani diverso”.

Provo a chiarire meglio la mia idea. Se i precari, quelli che temono di poter essere licenziati, coloro che hanno paura per una pensione che arriverà troppo tardi e sarà troppo esigua per garantire la necessaria serenità, pensassero e vivessero la propria vita come non ci fosse un domani, allora darebbero fondo a tutti i loro emolumenti, bunus Irpef da 80 euro compreso, facendo lievitare di colpo gli indici dell’andamento dei consumi al dettaglio, per la gioia di Renzi e di ogni altro capo di governo, ministro o politico che dovesse trovarsi a commentare quei dati.

Il problema per questi governanti, e la fortuna per quei consumatori, potenziali e mancanti, e che pure per loro un domani ci sarà. E quindi, bisogna prepararsi ad affrontarlo. Da oculate formiche, certo: d’altronde, non dicono gli economisti dell’austero mainstream continentale e germanofono, che il risparmio è una virtù e il debito un peccato? E che i governi, da buoni padri di famiglia, devono ridurre le spese per prepararsi al futuro? E non dovrebbero, forse, fare altrettanto e di più i padri e le madri di famiglie vere?

Quindi, non è per timore d’una notte senza l’alba che oggi si mette da parte, si tagliano i consumi e ci si prepara a una vita più austera, ma è perché si è sicuri che il giorno arriverà. E perché ci dicono che avrà proprio quei colori: meno soldi, meno servizi, meno certezze.

Curiosa, semmai, è la circostanza che tutto ciò avvenga proprio come conseguenza delle azioni messe in atto con l’idea di creare, tagliando salari, tutele e welfare, le condizioni per rilanciare la crescita, quasi si fosse in presenza di una decrescita indotta in virtù d’una singolare eterogenesi dei fini.

O forse, con le parole che Maurizio Pallante usa nel suo Meno e meglio, assistiamo oggi al manifestarsi di un “rifiuto razionale di ciò che non serve”; non foss’altro per aver modo di garantirsi il necessario domani.

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