“Se le posizioni della minoranza rimarranno inamovibili, non c’è alternativa alla fiducia”. Così, a proposito dell’Italicum, la vice segretaria del Pd Debora Serracchiani a la Repubblica. Ora, a parte la ridicola circostanza per cui chi si vanta della propria inamovibilità, venduta quale positiva capacità di decidere, critichi gli altri per la loro, dipinta come immobilismo, il tema della fiducia sulla legge elettorale è controverso. Personalmente, penso che sia già un problema di natura fiduciaria, nel senso che, arrivati a questo punto, i parlamentari democratici devono dire se si fidano oppure no del proprio presidente del Consiglio, anche quando, irritualmente, fa di una materia appannaggio del Parlamento, come quella elettorale, una questione di vita o di morte del suo Governo.
Ciò nondimeno, però, la faccenda rimane irrisolta: è politicamente e democraticamente lecito porre la fiducia sulla legge elettorale? O magari quella è una materia in cui il parlamentare deve poter votare come vuole, indipendentemente dalle indicazioni della componente a cui appartiene, cosa, peraltro, sempre possibile secondo il dettato costituzionale? Non è proprio questa libertà di voto che testimonia il fatto che relatore di maggioranza sia uno come Gennaro Migliore, che dissidendo dal gruppo e dal partito in cui è stato eletto (e dalle idee che aveva espresso in occasione della precedente lettura alla Camera) decida ora di sostenerla?
Ad ogni modo, il confronto è interessante. Sul piano estetico, intendo. Perché su quello della sostanza, ahimè, ho l’impressione di sapere fin da ora come andrà a finire: con o senza fiducia, in pochi voteranno contro quello che chiede il segretario del Partito democratico e capo dell’Esecutivo. Per “senso di responsabilità”, “lealtà”, “serietà”, eccetera, eccetera, eccetera.