La strada per Atene

“Non cediamo al ricatto. Non abbiamo paura”. Il titolo scelto dagli organizzatori della manifestazione di domani, sabato 13 febbraio, a Roma, “Cambia la Grecia. Cambia l’Europa”, non lascia tanto spazio alle interpretazioni: quello della Bce è letto come un ricatto imposto al popolo greco e, per riflesso, a tutti quelli che pensano possa esserci una via diversa per lo stare nella stessa Unione.

E devo dire che hanno anche ragione, così tanta che ora paiono accorgersene pure i più rigidi sacerdoti del rigore. Da Francoforte, più che un diktat è giunto un ultimatum: o vi allineate o soffochiamo nella culla il vostro neonato governo. Ed è normale che ad Atene la gente sia scesa in piazza per rispedire al mittente quelle imposizioni. Così come è ovvio, e francamente rassicurante, che in altri posti d’Europa si senta la necessità di dire che tra una élite finanziaria e un popolo intero, qualcuno veda in questo e non in quella la parte giusta con cui stare.

Perché in questi anni abbiamo vissuto davvero all’interno di un paradosso, lo stesso che ha fatto sì che proprio alla Grecia quasi tutti governi europei rinfacciassero i debiti pregressi, nel contempo tifando perché alle elezioni si affermassero gli stessi partiti che li avevano determinati, contratti e poi nascosti.

Il medesimo controsenso che ha poi animato le azioni della Troika, che nulla hanno potuto per risollevare le sorti dell’economia ellenica, semplicemente perché non erano a quello tese. Diciamoci la verità: i programmi lacrime e sangue imposti da Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale non miravano affatto a rimettere in piedi il sistema economico all’ombra del Partenone, ma a garantire i creditori di quel suo enorme debito. La quasi totalità del bailout, come lo chiamano quelli che ne capiscono, vale a dire dei fondi erogati alla Grecia in questo periodo di cura teutonica per evitarne il default, sono andati alle banche che avevano in cassa i suoi titoli, principalmente tedesche e francesi che avevano sostenuto quel modello di finanziamento drogato ed eccessivo proprio per sostenere l’export dei loro Paesi.

Davanti abbiamo due strade, come fossimo a un crocevia. “Ecco che uno si distrae al bivio, si perde. E chi gli dice ‘Prendi questa’ e chi ‘Prendi quest’altra’. E uno resta là, stordito. Aspetta che le gambe si muovano da sole”, ci ricorda Scotellaro. Ma a volte non c’è tempo di aspettare, ne possibilità di confonderci. Bisogna scegliere una di quelle vie, anche, se non proprio, come ci insegna Robert Frost (che a qualcuno piace citare per “sentito dire” in trasposizioni cinematografiche), “quella meno battuta”. La strada imposta dalla Merkel e i coreuti e corifei del rigore cieco sta quasi abbattendo l’anello debole della catena, che è poi quello che ne misura tutta la forza; l’altra che a fatica sta tentando di praticare Tsipras e chi pensa a un altro modo possibile di essere Europa può definire un percorso diverso, e perseguire un orizzonte differente.

A questo punto, la domanda è ineludibile e da rivolgere a ciascuno dei governi dell’Unione, auspicando, se non proprio pretendendo, una risposta chiara, univoca e coerentemente perseguibile e perseguita: ma voi, da che parte state?

Questa voce è stata pubblicata in economia - articoli, libertà di espressione, politica e contrassegnata con , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento