Un gioco pericoloso

“Let the children have their way/ Let the children play”, cantava Carlos Santana in un suo pezzo degli anni ’70. “Facciamoli giocare con la riforma costituzionale”, dice Nicola Latorre a Luca Lotti, in un video del Corriere della Sera, riferendosi ai deputati che in questi giorni stanno votando alla Camera il testo già approvato dal Senato, “che però”, sempre Latorre a Lotti, “non si deve modificare”.

Voi pensavate che fosse una cosa seria? Bambini illusi. D’altronde, se fosse seria, non l’affronterebbero con la velocità imposta dall’ineluttabilità quale mitopoiesi unica e unificante, e che ha tanto il sapore della superficialità approssimativa, dovuta solo alla voglia di dare l’impressione che si facciano le cose con prontezza, indipendentemente dalla qualità e dai fini. Fretta che arriva addirittura a prevedere una “seduta fiume” e notturna voluta, e votata, per non fare inserire altri emendamenti, cioè per limitare le facoltà del Parlamento di esprimersi nel merito della riforma e sulle possibili modifiche. Possono giocarci, quindi, ma non modificarla.

Bene o male che si giudichi quanto sta avvenendo, a quelli che così hanno deciso rivolgo una domanda: ma se l’avessero fatto gli altri? Perché la logica che conduce a chiudere la porta in faccia alle opposizioni nel riscrivere la Carta costituzionale, e nei fatti procedere a maggioranza, rischia di diventare un precedente. Cosa diranno coloro che oggi in questo modo agiscono, se domani la maggioranza fosse guidata da qualcun altro? Se l’avesse fatto Berlusconi, o se lo facesse Salvini, o Grillo? Se una diversa maggioranza, per giunta tale in virtù di una legge elettorale incostituzionale (mi ricordate i nomi dei giudici che l’hanno bocciata?), si permettesse di ridurre lo spazio e i tempi per la discussione intorno al “patto che ci lega” (e ricordate anche di chi è questa definizione?), quelli che ne compongono l’attuale come reagirebbero?

Se questo è il sentiero su cui ci si inoltra oggi, come impedire domani il determinarsi della situazione in cui “chi possiede il 51% potrà rendere illegale, in modo legale, il restante 49%”, che evocava Carl Schmitt, non certo un liberale di sinistra? E se, come ricordava Jon Elster, una Costituzione “è quella cosa che ci si dà quando si è sobri per poterla utilizzare nel momento in cui si è ubriachi”, secondo la strategia per cui è il sé lucido che vincola il possibile sé alterato (un po’ come Ulisse quando detta le regole di navigazione, tappa le orecchie ai marinai e si fa legare all’albero della nave prima che il canto delle sirene – il fascino del potere? – lo inebri), guardando alla situazione attuale, vi pare proprio il momento migliore per fare tutto ciò che si sta facendo? E per di più, i tempi e i modi che si sono scelti, sono proprio gli unici, se non i migliori?

Eppure, per quanto pericoloso, il metodo che si è preferito, quasi fosse un gioco, è questo. Se fosse utile a qualcosa, chiederei a quelli che gioivano dei balzi da canguro fatti per superare la discussione sugli emendamenti e per la lama della ghigliottina rapida a calare fra le pagine delle proposte della minoranza, di ricordarsi quei sentimenti provati quando saranno altri a imporre loro di subire le medesime pratiche. Se fosse utile, appunto: ma il dialogo è solo una perdita di tempo.

E poi, in definitiva, la maggioranza è sempre buona e non sbaglia mai; a che serve pensare di limitarne i poteri di decisione. Inoltre, chi lo è ora sa, e probabilmente ha anche ragione nel pensarlo, che lo sarà pure in futuro: quindi, per cosa preoccuparsi?

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