Il Vodka-Martini di James Bond era sempre “shaken, not stirred”. Grazie al fascino di Sean Connery, quello col vermouth di Pessione è divenuto quasi l’archetipo del cocktail. E un po’ cocktail lo sono anche le riforme di cui si discute in questi giorni, una sorta di Vodka-Martini istituzionale, insomma.
Prendiamo il Senato, nell’ipotesi che sta circolando in questi giorni: 3/4 di rappresentanti delle regioni, un quarto di sindaci, una spruzzata di nomine del presidente della Repubblica, un pizzico di riequilibrio delle competenze e l’aggiunta dell’immunità, come fosse un’olivetta o una fogliolina di menta.
Prima di preparare la bevanda, ovviamente, è stato raffreddato il bicchiere, non con il ghiaccio ma con la sostituzione (destituzione?) di due senatori in Commissione affari costituzionali, e preparato il vassoio con il battage sull’imprescindibilità dell’azione riformatrice quale obiettivo costituente della XVII Legislatura (che la Consulta ha dichiarato nata e formatasi in virtù di una legge incostituzionale).
Molta cura, come in ogni locale alla moda, è stata data all’ambiente. Lo stereo alto a suonare la canzone della fine del bicameralismo, vero freno alla crescita del Paese, altro che la corruzione, e luci studiate per illuminare il locale in modo che risaltino i bicchieri lucidi e le bellezze di un Senato non più “pagato dai contribuenti” (chissà chi pagherà bollette, assistenti e rimborsi) e rimangano in ombra una serie di questioni non molto chiare o non proprio edificanti (i possibili conflitti per il doppio incarico di rappresentanti delle regioni o dei comuni e della Nazione, ad esempio, o il fatto che i nuovi senatori saranno nominati dalla politica e non eletti dai cittadini, per dire).
Senza dimenticare che, per tutta questa azione di riscrittura della Costituzione in così tante parti da determinare, nei fatti e in abbinamento col nuovo sistema elettorale pensato, la modifica della forma di governo e dell’assetto istituzionale (una sola Camera che vota la fiducia, eletta con un grosso premio di maggioranza abbinato ad alte soglie di sbarramento, e con le liste bloccate, realizza, materialmente, un premierato che cambia la natura di quella che oggi è una repubblica parlamentare), gli attuali costituenti non hanno mai ricevuto alcun mandato. Perché un conto è la modifica puntuale e la revisione della Carta, un altro è scriverne una nuova, come alla fine, in concreto, si finirebbe per fare, se tutte le cose di cui si discute venissero realizzate.
I costituenti del ‘46/’47 avevano ricevuto un mandato specifico, essendo eletti in un organismo che doveva fare proprio quello e rappresentando il popolo in ragione proporzionale. Gli attuali (soi-disant), no. Per tutta una serie di ragioni (la proporzionalità della rappresentanza, l’esclusione di grosse fette di elettorato in virtù della soglia di sbarramento elevata, il macigno, già ricordato e non rimosso, dell’incostituzionalità del sistema con cui si è formato il Parlamento), ma soprattutto perché nessuno li ha votati per fare quello.
A febbraio del 2013 abbiamo votato per dare una rappresentanza parlamentare, e quindi un governo, al Paese, per un potere costituito, non costituente. E quando si dice che i cittadini “vogliono le riforme secondo l’impianto pensato da Renzi e concordato con Berlusconi nel patto del Nazareno” perché il Pd è andato bene alle Europee, si aggiunge un dato di confusione interessata: a maggio abbiamo votato per eleggere i 73 rappresentanti dell’Italia nel Paramento euorpeo, non per fare di quello italiano un’Assemblea costituente.
Il novello spirito riformatore, come in un cocktail appunto, mescola un po’ di cose diverse, così come, e molto, si stanno rimescolando le posizioni di tanti protagonisti di questa stagione. Ma a differenza di quello preferito dal personaggio nato dalla penna di Ian Fleming, nel cocktail di Montecitorio e, soprattutto, di Palazzo Madama i componenti non sembrano affatto agitati, anzi.
Forse perché molti di loro, alla domanda “sarà abolito il Senato?”, risponderebbero tranquillamente, e con una buona dose di ragione visti i precedenti (ricordate la riforma dei Saggi di Napolitano e il progetto di riscrittura della Costituzione partendo dalla deroga a quanto disposto nell’articolo 138? Bene, era lo stesso Parlamento), come l’esilarante Antonio Razzi di Maurizio Crozza: “questo non credo”.