E poi una mattina ci siam svegliati

La presidente della Camera dei Deputati ha deciso di utilizzare la “ghigliottina”. No, non la macchina resa famosa dal Regime del Terrore giacobino, ma uno strumento regolamentare per portare, ad esempio, in votazione un decreto governativo qualora ci fosse il rischio di decorrenza, senza esito, dei termini per la sua conversione in legge. E ad esempio, è proprio il caso in cui è stata utilizzata nella seduta di ieri, per convertire in Legge il cosiddetto decreto “Imu-Bankitalia”.

Che poi, questa ghigliottina, questo strumento, alla Camera non è nemmeno proprio regolamentato: al Senato sì, ma alla Camera no. Fu Luciano Violante, nel corso della XIII legislatura, a sdoganarlo concettualmente anche per Montecitorio, ritenendo non ammissibile che una minoranza deliberasse al posto della maggioranza, facendo ostruzionismo e lasciando “scadere” i provvedimenti del Governo da convertire.

Curiosamente, però, fino ad ieri non era mai stato utilizzato. Ci ha pensato Laura Boldrini a mettere in pratica la teoria di Violante; entrambi esponenti di sinistra, una impegnata nella tutela dei diritti dell’uomo, ed anche quello al dissenso lo sarebbe, l’altro discendente di quella tradizione politica che con la pratica dell’ostruzionismo da parte delle minoranze scrisse importanti pagine della sua storia parlamentare. Ma le cronache di questo periodo, ormai, sono sempre più curiose, come se le avesse scritte un commediografo antico. E a giudicare dai toni e dai gesti di corifei e coreuti durante i momenti del voto e subito dopo, un commediografo messosi a scrivere alla fine d’un provante simposio.

Eppure, in tutta questa vicenda c’è qualcosa che non torna, o meglio, che si vuole nascondere. Perché, al di là di toni e baruffe, c’è la sostanza. E quella, secondo me, è un po’ più complicata di come la si vuole far apparire.

Il decreto “Imu-Bankitalia” già nel nome rivela una parte di quel qualcosa che non riesce a tornare. Che c’azzecca l’Imu con Bankitalia. Nulla, direste voi? E infatti, avreste ragione. Quel decreto, ora legge, scongiura il pagamento dell’ultima rata dell’imposta sulla prima casa e rivaluta, aumentando anche i dividendi, il valore del capitale della Banca d’Italia. E l’omogeneità? E i requisiti di necessità e urgenza? Perché si possono capire quelli sul pagamento dell’Imu, ma sulla rivalutazione di Bankitalia un po’ meno, visto che lo stesso era stato fissato, e mai cambiato, nel lontano 1936. Quindi, gli alti moniti sul rispetto del Parlamento e per la fine dell’abuso di decretazione onnicomprensiva? Niente da fare: ghigliottinati anche questi. Insieme con i principi, le forme e i modi della democrazia parlamentare.

Esagerato? Non saprei. Mi chiedo, però, se tanto alla fine un decreto del Governo, che ovviamente è sostenuto da una maggioranza, deve essere convertito in legge prima che scada, sic et simpliciter, se il dibattito è vissuto con fastidio, se comunque l’omogeneità è inutile e le ragioni di emergenza e urgenza quantomeno discutibili,  allora perché non trasferire il potere legislativo direttamente all’organo esecutivo. Al massimo, al Parlamento si può lasciare un compito di ratifica, buono, se non altro e non per altro, a giustificare la presenza dei parlamentari. Perché se ogni volta, per evitare l’ostruzionismo e prima che decada il decreto, si può passare al voto senza che il dibattito sia finito, allora perché non farlo subito. Non è poi, in fondo, questo il fine a cui tende la democrazia governante, quella in cui l’azione esecutiva viene sempre e comunque prima della funzione di rappresentanza. In quell’ottica, il Governo diventa una sorta di Cda, dipendente dall’Assemblea dei soci (l’organo legislativo) solo formalmente, mentre a quest’ultima rimane la funzione di ratifica o, qualora i rapporti azionari cambiassero significativamente (vedi l’esito d’un congresso), quella di sfiducia. Il resto del lavoro, quello della rappresentanza in piena libertà da mandato imperativo dei singoli parlamentari e quella più ampia dei gruppi, maggiori o minori che siano, è semplicemente ignorata (di queste cose ne scrivevo cinque anni in La politica governante e i problemi della rappresentanza, a cui rimando per non togliere altro spazio qui).

E non c’entra la polemica sul merito del provvedimento (anche se, rivalutando il capitale della Banca centrale da 165 mila a 7,5 miliardi di euro, chiaramente se ne giovano i privati che posseggono le quote di quel capitale), né la giustificazione capziosa del “gli italiani rischiavano di pagare la seconda rata dell’Imu” (era sufficiente stralciare le norme sulla Banca d’Italia dal testo del decreto, e farlo già nel primo passaggio al Senato), e nemmeno basta spostare l’attenzione sulla condanna del linguaggio e dei modi dei più accesi contestatori del Governo (toni, gesti e parole che sono intollerabili, specialmente nei connotati più sessisti, volgari e misogini, oltre che offensivi per le istituzioni, per la civiltà del Paese e per il rispetto che sempre si deve alle persone, pure, anzi, soprattutto nella diversità di opinioni).

Quella “ghigliottina” usata ieri ha tagliato la testa a tutti quelli che pensano che l’opposizione si possa ancora fare. Con quella s’è detto: “signori, è inutile che vi agitiate; noi facciamo un decreto e prima che scada, senza modifiche, lo convertiamo in legge, togliendovi anche lo strumento dell’ostruzionismo per farlo decadere”. E come dire: chi ha i numeri, comanda. Che è la dittatura di una maggioranza, non la realizzazione di una democrazia.

Ieri un amico m’ha chiesto, leggendo delle mie critiche al decreto “Imu-Bankitalia”, perché io difendessi i “grillini”. Ma io non li difendo affatto, tutt’altro. Difendo il dissenso, e il diritto a manifestarlo. Difendo il diritto dell’opposizione di tentare di bloccare l’azione della maggioranza. E non lo difendo perché mi sono simpatici gli oppositori di oggi, ma perché domani potrebbero non essermelo i governanti. Perché se la logica è che un decreto del Governo non può in nessun caso essere bloccato, immaginate, voi della maggioranza che ieri avete cantato “Bella ciao” contro le azioni scomposte e urlate dell’opposizione, se le parti fossero invertite, se fossero quelli che criticate la maggioranza. Cosa diremmo allora? Cosa direste? “Pensavamo di vivere in un sistema parlamentare, in cui si potesse fermare nelle Camere e con il potere legislativo l’azione dell’esecutivo quando questa debordasse o andasse al di là dei suoi limiti o dei nostri valori. Lo pensavamo. Però una mattina ci siam svegliati e c’era solo un Governo che non ci piaceva, ma che non poteva cadere perché non c’erano alternative”.

E come potremmo noi cantare…

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