Da D’Alema a Renzi: la parte sinistra del leaderismo

La paura che la sinistra possa perdersi in un soggetto più ampio è un “vizio tipico degli intellettuali, quelli che quando distribuisci un volantino chiedono la rivoluzione”. Invece noi, che siamo concreti e sappiamo cos’è la politica, “aspiriamo a vincere”, e sappiamo come “questo possa essere visto con sospetto da certa sinistra…”. E poco più avanti, arriva la centralità della figura del capo del governo nella politica dei partiti, e anche l’elezione diretta del presidente del Consiglio: “Il candidato premier deve coincidere con il capo della maggioranza”. Tranquilli, non parlo di Renzi. I virgolettati che se la prendono con gli intellettuali e con una “certa sinistra” sono frasi di D’Alema, pronunciate a Torino nel 2000, durante il congresso dei DS che si tenne al Lingotto, il luogo dove poi nacque anche il Pd, e ricordati da Marco Damilano nel suo Chi ha sbagliato più forte.

Le riporto, queste parole, solo per dire che una certa deriva leaderistica nella sinistra non è una cosa che si afferma oggi, e non certo per colpa dell’attuale presidente del Consiglio dei ministri. È iniziata già anni fa, e quelli che cercavano di opporre una qualche forma di ragionamento ponderato e in direzione ostinata e contraria, venivano additati come esponenti, ovviamente perdenti, di una “certa sinistra”.

Se ora siamo qui, la radice del problema affonda in quel periodo, e forse pure prima, e nei tanti che troppe volte hanno affidato le proprie speranze all’uomo che da solo avrebbe risolto tutti i problemi, anche a sinistra. Forse peggio: proprio a sinistra. Perché, come dire, che una cosa del genere succeda a destra è un po’ più normale. Ma che accada da questo lato degli schieramenti politici, lo è di meno. Eppure.

Eppure è accaduto. Il culto della personalità, l’infallibilità del capo, la ragione del segretario. Non ne fu immune nemmeno la figura di Enrico Berlinguer, pur se a denunciarne la deriva personalistica e l’aurea da supereroe che rischiava di disegnarsi intorno al segretario del Pci fu solo un eretico e caustico cantautore, quel Rino Gaetano che, in Capofortuna nel 1978, non casualmente alla vigilia della lunga stagione del riflusso, ironicamente diceva al cittadino elettore: “Dimentica i tuoi problemi/ imbarca i tuoi remi/ lui pensa per te”.

Al di là del merito della discussione sull’agire politico, che pure allora strizzava l’occhio a un certo mondo della finanza, a regole più leggere per la parte padronale nel mercato del lavoro, e a un certo blairismo di maniera, per dire che nemmeno in questo oggi s’inventa nulla, quelli che cercavano un modo diverso del fare politica, che guardasse al potere come esercizio da distribuire, non cosa da prendere, venivano visti quali “professionisti della sconfitta” ben prima che sulla scena delle cronache si affacciasse la figura carismatica di Renzi. Non mancava, in quel recente passato, nemmeno la santificazione mediatica del corpo del capo, dalla durezza sicura del fare marinaresco alla bonomia simpatica del potente alla mano fra pentole e fornelli. Così come l’intolleranza alla critica, soprattutto da sinistra, non è un tratto caratteristico solo dell’attuale segretario del Partito democratico. Narrano le cronache che il sarcasmo caustico di D’Alema un giorno lo portò a emettere una tragica sentenza in forma di commento alle eccezioni che da quei lati dell’emiciclo arrivavano: “La sinistra è un male. Solo l’esistenza della destra rende questo male tollerabile”. Ora che la destra è ridotta al lumicino, ha dunque buona ragione il nuovo leader a non voler più tollerare quel male.

Una curiosità. Ricorda sempre Damilano nell’opera citata che, nel febbraio del 1997, in un altro congresso, questa volta del Pds e che vide proprio D’Alema trionfare, a incorniciare il palco romano del Palaeur c’era una frase delle Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke: “il futuro entra in noi prima che accada”. A scegliere quelle parole fu Gianni Cuperlo, forse perché le riteneva in linea con il sentire dei militanti dell’epoca, i primi di tradizione comunista a vedere il proprio partito al governo, al potere in Italia.

Solo che, il resto di quello scritto, a leggerlo ora, pare una previsione: “Noi siamo soli con la cosa straniera che è entrata in noi; perché quanto ci era confidente e abituale per un momento ci è tolto; perché noi siamo in un passaggio dove non possiamo fermarci. Ci si potrebbe facilmente persuadere che nulla sia accaduto, e pure noi ci siamo trasformati, come si trasforma una casa, in sui sia entrato un ospite…”.

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