C’è spazio per l’impegno, al tempo di “Sua Maestà”?

Enrico VIII, agli inizi del XIV secolo, stabilì che il titolo convenzionale per i sovrani d’Inghilterra divenisse “Sua Maestà”. Da quell’epoca, ogni cosa o istituzione che nel Kingdom possa essere in qualche modo assoggettata alla sovranità regale, dall’esercito alle carceri passando per il fisco e le dogane, viene ricondotta a quell’appellativo medievale.

Il segno conservatore delle forme inglesi è così forte che pure le organizzazioni della vita sociale vengono fatte ricadere in tale casistica, di modo che sono “di Sua Maestà” il Governo, le Leggi, la Giustizia e persino, estrema forma di fedeltà, l’opposizione, anche per distinguersi in quello dall’ideale illuminista, e giacobino, dell’opposizione “a Sua Maestà”.

Questo pronunciamento di lealtà serve a mettere in chiaro, e fin da subito, che l’ordine costituito, nelle sue forme e modi, in nessun caso è, né può essere, messo in discussione, nemmeno dall’opposizione, appunto.

Una cosa non dissimile avviene oggi anche nelle altre democrazie, diciamo così, meno regali di quella britannica. È come se ci fosse pure in quei sistemi non monarchici una sorta di “Sua Maestà”, al cui dominio e riconoscimento indiscusso e indiscutibile tutto dev’essere ricondotto.

Non può essere messa in dubbio la validità dei fondamenti del sistema, le sue regole e le forme organizzative, persino i modelli che esso si è dato per l’articolazione della propria struttura produttiva e distributiva della ricchezza. Ad esempio, non può essere messo in dubbio il modello capitalistico e finanziario, i rapporti economici e i limiti e i confini dell’azione del pubblico sugli interessi del privato.

Molti di questi aspetti, ovviamente, fanno parte del concetto stesso di democrazia. Altri, invece, sono semplici scelte contingenti, ma che vengono assunte come immodificabili proprio perché effettuate da quelle entità indiscutibili che sempre di più stanno diventando gli Stati moderni. Come fossero i principi di “Sua Maestà”, a cui si deve fedeltà indipendentemente dalle idee e dalle fedi professate.

Il fatto è, però, che spesso la politica dovrebbe essere agita proprio su quei principi, cercando di modificarli per determinare scenari realmente alternativi. Se quello è impedito perché questo che abbiamo è l’unico modello di organizzazione politico-economica possibile, allora a essere agibile è solamente il discorso sui dettagli e la competizione sul chi deve definirli.

Per carità, un lavoro e un compito importanti, e lo dico senza alcuna ironia. Ma un po’ poco per suscitare la necessaria passione a sostenere le ragioni, diffuse e condivise, dell’impegno.

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