E del Romanticismo

Angela Merkel, fra i leader politici, la più importante d’Europa (stateci, maschietti: così è), spiegando il perché di alcune scelte necessarie (e che qui non si discuteranno), assunte guardando a dati ed evidenze scientifiche, ha detto: «siamo il continente dell’Illuminismo: la matematica è importante». Certo, nessuno su questo spazio lo negherà. Però – e lei, tedesca, dovrebbe saperlo più di altri – siamo anche il continente del Romanticismo. E quindi sono parimenti importanti l’emotività, la spiritualità, l’individualità, persino l’immaginazione e la fantasia. Forse per questo alcune cose non riescono bene come in altre parti del mondo, più razionali e scientificamente organizzate.

Non è da escludere che sia perché altri due tedeschi mi han quasi convinto di quanto le idee illuministiche, partite col principio di difendere una forma di autodeterminazione degli esseri umani su base razionale, siano poi finite a giustificare una sorta di neutralizzazione delle libertà individuali nel nome d’una superiore razionalità (cfr. Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, 2010), oppure per quanto, da ragazzino, ho consumato con gli occhi le riproduzioni delle opere di Friedrich, immaginandomi anch’io, mille e mille volte, fra le rovine di Eldena, non riesco a disgiungere la mia idea di Europa dalla considerazione della sua stagione romantica. Dopotutto, è l’eterna ambivalenza di questa natura, sempre divisa fra Achille e Odisseo, e persino fra Dioniso e Apollo, che non ha senso, se non considerata in entrambi i suoi aspetti.

Certo, dal mio punto di vista sempre più oramai invecchiato, non posso che sentirmi lontano dalla sterilità delle esagerazioni della ragione, così come dalle orribili filiazioni che una troppo sregolata passione può generare, e preferisca, col passar del tempo, una königsberghiana puntualità rassicurante, noiosa, al limite, a pericolosi discorsi sassoni per vie berlinesi.

Eppure, non riesco a non ricordare di quanto ancora mi lascino indifferente certe vacue speculazioni ginevrine, mentre trovo difficile resistere al fascino potente delle liriche di quell’ultimo uomo universale, dal Meno mosso a percorrere la terra tutta e capace, con un distico appena, di disegnare mondi interi e lasciare, nelle pagine d’un diario di viaggio, una prosa migliore e più elevata ed elegante di tante altre, nate per far sfoggio di malintesa tecnica e sedicente talento.

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