Come siamo arrivati a questo punto? Tifando per i droni, temo

Per carità, rispetto al meglio di quel che posso le regole sul distanziamento sociale, anche evitando di uscire nel centro abitato, nei giorni in cui un’ordinanza regionale ha imposto, pure su una panchina isolata, l’obbligo di mascherina. E nonostante abbia criticato e continui a criticare quell’insana passione per le limitazioni delle libertà individuali, non metto in dubbio che quarantena e isolamento siano state fondamentali, nel contenimento del contagio. Però, c’è un punto in cui la gente si satura, ne ha piene le scatole. Soprattutto se poi, quell’apocalisse che si sente minacciare, non arriva, e alle urla di quanti, a ogni riunione all’aperto di due o tre persone, prospettino l’ecatombe, i morti accatastati per le strade e le terapie intensive stracolme con medici e infermieri allo stremo – come è stato tristemente nei primi mesi dell’epidemia e non più da allora –, i fatti e i numeri, fortunatamente, non danno seguito. Così, quella stanchezza cerca sbocchi; e li trova dove può, come riesce.   

Leggo un post ripreso dalla bacheca di un amico: «Chissà come siamo passati dal drone che insegue un runner solitario in mezzo al niente ad una manifestazione fascista senza distanze e senza mascherina». Tifano per il drone, temo. Tifando per gli elicotteri alla ricerca di patiti della grigliata su tetti pasquali. Tifano per i controlli stringenti e i controllori strillanti, per i sindaci che si autocelebravano sui social nella denuncia degli indomiti del tressette, per i presidenti di Regione vittime del proprio personaggio che inveivano in monologhi rauchi contro gli habitué della passeggiata un po’ in sovrappeso e in là con gli anni, e stigmatizzando quanti, a nostro parere, non fossero ligi a tutte le misure che gli scienziati proponevano e i governanti recepivano, spesso in contrasto fra loro o dimostrando palesi controsensi, come la pericolosità, appunto, di trascorrer da soli un paio d’ore su una spiaggia deserta, tanto da mobilitare spiegamenti di forze e mezzi da film di fantascienza, contrapposta alla dichiarata sicurezza del passare in dieci, cento o mille, otto ore a stretto contatto in un ufficio, in un supermercato, in una fabbricata, mascherati alla bene e meglio (perché, ad esempio e sinceramente, delle centinaia di avventori quotidiani di un grosso alimentari, vorrei conoscere le reali qualità e tenuta dei dispositivi di protezione indossati).

Eppure, a giudicare da quello che sento, pare proprio che sia io a sbagliare; e deve essere evidentemente così, non c’è altra spiegazione. Per dirne una, a proposito della manifestazione a cui pure quel post che ho ripreso accennava: il 2 giugno, la destra era in piazza, la sinistra, no. Come non c’era il 25 aprile o il primo maggio appena precedenti. Però, il problema, a guardare cosa scrivono a riguardo alcuni giornali che pure furono e sono riferimento di quell’area, sembrava essere l’assembramento, il mancato distanziamento sociale, le stramaledette mascherine, il problema principale. Non il fatto che la destra cercasse e cerchi di prendersi tutto lo spazio possibile, no: il problema sono i centimetri tra uno e l’altro. Cioè, se fossero stati ben distanzianti e a volto coperto da presidi ffp2, avrebbero tranquillamente potuto fare una marcia su Roma senza destar scandalo nell’opinione pubblica progressista?

Va bene, sarà così, perché io ho sempre torto. Noi stiamo a casa, rispettiamo i consigli dei medici (ma non di quelli che hanno curato il Caimano, per carità), ascoltiamo tutti i burioni che parlano e passano, e lasciamo la destra, l’ultradestra e persino quelli che si dichiarano apertamente fascisti lì, tranquilli. Tanto, noi che temiamo il dannatissimo Covid, siamo nel giusto; e loro, quindi, fra una decina di giorni, saranno tutti stecchiti.

O no?

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