E cambiare stile e modelli di vita?

Ho letto un articolo sulla vendita di automobili con toni totalmente contrari di quelli che mi sarei aspettati, viste, sullo stesso giornale e nei medesimi giorni, le attenzioni dedicate ai cambiamenti climatici. Perché, o io non ho capito cosa s’intenda per tutela dell’ambiente, o davvero in molti sono preoccupati, a parole, dello stato di salute del pianeta in cui viviamo, ma, nei fatti, indisponibili a cambiare in nessun modo il proprio stile di vita e il modello di produzione e consumo a cui è legato. Mi spiego meglio.

Scrive La Repubblica che il mercato dell’auto è ancora in recessione. E questa, nel tono dell’articolo, sarebbe una cattiva notizia. Alla fine dell’analisi, però, chiude con un dato che definisce ottimistico, relativo al fatto che la rilevazione sia incentrata sul mese di agosto, da sempre povero di vendite, e che gli ordinativi già registrati lascino presupporre una possibile ripresa. E ciò, traspare dalle parole usate, sarebbe positivo. Non dovrebbe essere il contrario? Cioè, non dovrebbe esser positivo avere meno auto prodotte e vendute, nell’ottica ambientalista che su quello stesso giornale è sempre più detta fondamentale? Non dovrebbe, all’inverso, rappresentare un problema l’incremento degli ordini, e quindi della produzione e di conseguenza dell’inquinamento?
Lo so, vi sembra una provocazione. E potreste agilmente rispondermi che il rinnovo del parco auto circolante abbasserebbe l’inquinamento causato da ogni singolo mezzo. Vero, per carità. E di quello generato nella fase di produzione della nuova macchina, che mi dite? Verrà di sicuro compensato dalla riduzione del consumo per ogni chilometro percorso?

Ho i miei dubbi, ma rilancio: e se invece di fare auto private si potenziassero i servizi di trasporto pubblico? O addirittura si riducesse la necessità di mobilità quotidiana, attraverso l’incentivazione di metodi di organizzazione del lavoro differenti, la dislocazione sul territorio di quei servizi che, mancando, costringono a continui e giornalieri spostamenti, dalla sanità alla scuola passando per altri più generici e non essenziali, ma altrettanto importanti per la qualità della vita? O si diffondesse la cultura, insegnandone i principi a partire dalla più tenera età, che non è avendo più cose che si sta meglio, ma creando un nuovo modello di benessere «che domanda più cultura, che domanda più soddisfazione ai bisogni umani, più capacità per gli operai di leggere Dante o di apprezzare Picasso, perché questa, che preconizziamo, è una società in cui l’uomo diventa diverso a poco a poco e diventa uguale; diventa uguale all’industriale o all’imprenditore non perché ha l’automobile, ma perché è capace di studiare, di apprezzare i beni essenziali della vita», per riprendere le parole di Riccardo Lombardi in un ormai lontano 1967.   

Sto parlando di un nuovo mondo? Sì. E di una futura umanità.   

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