Quel triste misto d’insoddisfazione e rassegnazione che apre alla tirannide

Nell’aprile del 1940 Simone Weil scriveva al fratello André (giovane scienziato e ragazzo prodigio che dedicò l’intera sua esistenza allo studio della matematica e all’epoca detenuto a Rouen in attesa di giudizio di fronte al tribunale militare per renitenza alla leva) una bozza di lettera probabilmente mai spedita. Nelle parole che la sorella filosofa scelse si sente in pieno il clima opprimente che si respirava in Francia, nei giorni della guerra contro il nazifascismo: «Un’atmosfera pesante, fosca, soffocante è calata sul paese, così che la gente è giù di corda e scontenta di tutto, ma, per contro, è disposta a incassare qualunque cosa senza protestare e perfino senza stupirsene. Situazione tipica dei periodi di tirannide. Il malcontento generale, considerato sempre dagli osservatori superficiali come un indice della fragilità del potere, in realtà testimonia l’esatto contrario. Un malcontento sordo e diffuso è compatibile con una sottomissione pressoché illimitata per decine e decine d’anni; quando al sentimento della sventura si unisce l’assenza di speranza, come sta accadendo ora, gli uomini obbediscono sempre, fino a quando uno shock esterno non restituisca loro la speranza». (Simone Weil, André Weil, L’arte della matematica, Adelphi, Milano, 2018, p. 101).

Certo, i tempi di allora erano cupi per davvero, e ogni paragone sarebbe irrispettoso. Ma è la traccia su cui quelle parole si muovono che mi sembra non diversa dai tempi presenti. Per Simone Weil, era l’assenza di speranza che, unitamente alla considerazione mesta per le sventure che parevano susseguirsi una all’altra, conduceva gli uomini all’obbedienza senza proteste, rassegnata e irrimediabilmente condannata a durare, aprendo le vie per lo spiegamento della tirannide e dei suoi nefasti modi e doni. Almeno fino allo «shock esterno» che la Weil auspicava, seppure ancora non riusciva a intravedere. Il rischio che vedo io oggi è di avvitarci proprio in una situazione non dissimile. Perché all’insofferenza e all’insoddisfazione per lo stato presente, anche in quelli che si oppongono alle forze che guidano il Paese, non si unisce la necessaria speranza nella praticabile alternanza. E così, può crescere solo l’obbedienza, o comunque l’incapacità di reagire e costruire qualcosa di necessariamente forte per cambiare quello che abbiamo dinanzi.

Non lo so, forse è solo pessimismo da domenica notte, da «sera del dì di festa», «dolce e chiara […] e senza vento», per dirla col Poeta, ma un po’ mi spaventano alcuni segnali che leggo nella rassegnazione sempre maggiore che mi pare di scorgere nei confronti quotidiani e nelle letture di articoli e approfondimenti che mi capita di fare. Soprattutto, e lo dico con rammarico sempre crescente, in quelli da cui mi aspetterei un sussulto, se non proprio l’indicazione di una via per agire alla riconquista di quell’alternativa sempre possibile, pure nei momenti in cui questa, come la natura profonda dei fatti e delle cose per Eraclito, più ama nascondersi.     

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