«Al romanzo politico del populismo e del sovranismo serve un nemico e uno dei problemi del momento, per dirla con Francesco De Gregori, è che “il nemico è scappato, è vinto, è battuto”. La chiusura dei porti e la sostanziale interruzione dell’Operazione Sophia hanno fermato gli sbarchi: lo spettro dell’invasione africana, della sostituzione etnica, dell’orda musulmana alle porte si è fatto più tenue e assai meno spaventoso. Senza il caso Diciotti sarebbe stato praticamente dimenticato. La vecchia Casta è stata neutralizzata e sostituita ovunque fosse possibile, dalla Rai al largo spettro delle nomine fatte e in fieri. Sì, si può attaccare la Giuria di Qualità di Sanremo che sceglie il vincitore sbagliato, ma è davvero poca cosa rispetto alla guerra contro le élite che ha infervorato per anni gli elettorati del Movimento Cinque Stelle e della Lega». Flavia Perina non è di certo una delle mie firme di riferimento, però nel suo articolo sul «bisogno populista del nemico», scritto per La Stampa del 28 febbraio scorso, aveva molte ragioni da far valere. Sopra tutte, quella velata del vittimismo insopportabile di chi è al comando.
Sì, perché in effetti quell’aspetto del racconto politico che animano è fortemente abusato da parte dei nuovi politici influenti nell’oggi. Guardate, cari i miei governanti delle due leghe (quella con le stellette sulla giacca e quella con le cinque stelle nel blog), adesso i potenti siete voi. Non avete rivali, non avete avversari che possano intimorirvi, per continuare col De Gregori citato dalla Perina, «dietro la collina non c’è più nessuno»; basta dipingervi come assediati da temibili avversari. Non ci sono, li avete battuti, avete vinto. Il vittimismo non vi veste al meglio, si vede il difetto, di logica e di taglio. Novelli Gulliver, dei dardi dei lillipuziani della stampa e dei politici sconfitti dovreste sorriderne accorgendovene appena. Se così non fosse – e non ho io elementi per non creder che tale sia effettivamente lo stato dei rapporti di forza, nell’Italia del tempo presente – l’intera assegnazione delle parti, fra nani e giganti, e il relativo discorso pubblico che su questa per tanta parte del Paese s’è andato sviluppando, andrebbero quantomeno ridiscussi.
Purtroppo per il, soi-disant, «governo del cambiamento», nemmeno in questo sono innovativi. Di forti che si atteggiano a vittime delle mire predatorie da parte di quelli di loro più deboli è pieno il racconto della storia. E ne sono piene pure le favole, come l’eternamente valida Lupus et agnus di Fedro, che, scritta per quegli uomini qui fictis causis innocentes opprimunt, che con falsi pretesti opprimono gli innocenti, parla anche di quella bugiarda autocommiserazione che dalle parole degli stessi ipocritamente promana.