I giganti son tali perché si fanno domande che i nani ignorano

«Un gigante chiama l’altro attraverso i desolati intervalli delle epoche, e l’alto colloquio degli spiriti continua, senza badare ai nani petulanti e strepitanti che strisciano sotto di loro». Non aveva ancora trent’anni Nietzsche quando volle immaginare (in Verità e menzogna in senso extramorale) le vicende e l’agire degli uomini grandi come un dialogo ininterrotto dai tempi e dagli spazi al di sopra degli animi piccoli. E noi, che non saremo mai giganti ma che da tempo siam stanchi dei nani, non possiamo far altro che disporci ad ascoltare quelle conversazioni. Ma chi sono «i giganti»? Soprattutto, cosa dicono? E ancor prima, come han fatto a diventare tali? Bene, i giganti son quelli che pongono a sé stessi prima che ad altri domande che i nani ignorano, nella migliore delle ipotesi, o eludono, per paura delle risposte.

Prendiamo la storia di questo Paese e i personaggi che l’hanno impersonata. Giorni fa, ad esempio, mi è tornata alla mente una frase di Aldo Moro, detta durante un suo intervento al Consiglio Nazionale della Democrazia cristiana nel gennaio del 1969 e che avevo ascoltato per la prima volta in una puntata de La notte della Repubblica. Pensando alla situazione che l’Italia stava vivendo in quel periodo, diceva: «Parliamo, giustamente preoccupati, di distacco tra società civile e società politica e riscontriamo una certa crisi dei partiti, una loro minore autorità, una meno spiccata attitudine a risolvere, su basi di comprensione, di consenso e di fiducia, i problemi della vita nazionale. Ma, a fondamento di questa insufficiente presenza dei partiti, non c’è forse la incapacità di utilizzare anche per noi, classe politica, la coscienza critica e la forza di volontà della base democratica?». Ecco, le domande. Nella stessa trasmissione di Zavoli, un compassato Guido Carli si chiedeva se le classi dirigenti, e si metteva sul banco quegli imputati, non avessero sbagliato qualcosa nel puntare tutto e solamente sulla crescita, sullo sviluppo economico, ignorando il progresso delle altre infrastrutture sociali e democratiche. Ancora, le domande. Non mi va di far nomi dell’oggi, ma pensate a chi guida adesso i maggiori partiti e le più grandi aziende e alle loro capacità di riflessione e analisi. Appunto: i giganti, i nani.

Vedete, noi che non saremo mai giganti ma ne avremmo già abbastanza di veder ballare nani, che sediamo in basso e fuori dalle stanze dove si decide e si governa, e che non ambiamo a entrarvi, potremmo aver pure delle cose da dire, se la supponenza tronfia di vacuità di chi dovrebbe ascoltarle si disponesse a farlo. Però così non accade, e nella spavalderia di chi è giunto – forse per sottrazione, e in questo la colpa potrebbe esser più generale che sua soltanto – a ricoprire i ruoli più alti dello Stato e delle imprese, si trova una parte delle ragioni della disaffezione e della disistima diffusa verso tutte quelle istituzioni.

In fin dei conti, come si chiedevano Carli e Moro, quasi trenta e cinquant’anni fa.

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