Deluso? No, proprio pentito

Il dibattito sui trattamenti di quiescenza dei parlamentari ha da tempo assunto una piega che definirei comica, se non fosse ridicola. Per prendere parte dal lato sbagliato, almeno stando alla vulgata maggioritaria, io penso che chiunque faccia politica a determinati livelli debba essere pagato, e bene, così come sono per il finanziamento pubblico ai partiti e, per stare al merito dell’attualità, sono favorevole all’istituto del vitalizio, che se ci fosse oggi così come c’era un tempo, molti sarebbero sottratti al ricatto agito o solo adombrato dai tanti apprendisti stregoni del qualunquismo.

Quindi, sul terreno dell’egemonia grillaia lascio volentieri ad altri la libertà di inseguire il peggio del populismo condito con quel tanto che basta d’ipocriti richiami al contenimento della spesa e appelli da improponibili pulpiti alla necessaria sobrietà dei pubblici rappresentanti. Ma quando, l’altro ieri ho ascoltato al tg il capogruppo dei deputati del Pd, Ettore Rosato, dire al suo collega del M5S Luigi Di Maio (testuale, dal resoconto stenografico della Camera, seduta del 26 luglio 2017, n. 842, pag. 93, con tanto di precisazione sugli applausi ripetuti) «l’abbiamo già dimostrato che lui ha uno stipendio più alto del mio, perché con gli scontrini, i rimborsi, le indennità lui ha uno stipendio più alto del mio e io mantengo con orgoglio il mio partito; loro il partito non ce l’hanno, hanno un capo e un blog», mi sono sinceramente cadute le braccia.

No, non ero affatto deluso dal tenore di quell’intervento; sono proprio pentito d’aver votato per loro, per il Pd e per quelli che, in quel partito sono stati eletti. E non perdete tempo a rispondermi che il tono degli interventi grillini era di pari pasta: lo so già. Infatti, io loro non li ho votati né li voterò mai. Era da altri che mi aspettavo modi diversi, o meglio, normali, di fare politica. Con tutta evidenza, devo concludere che mi sbagliavo. E forse, mi sbaglio ancora.

Perché se, come detto, sono a favore delle indennità per i politici, del finanziamento pubblico ai partiti e anche dei vitalizi, è pur vero che io nel sostenere questa tesi difendo solamente un principio. Poi ascolto i Nardella, le Taverna, i Di Battista, i Carbone, i Razzi, le Biancofiore, le Moretti, le Ascani, gli Esposito, le Gelmini… E dar torto ai qualunquisti diventa sinceramente sempre più arduo.

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