La Prestipino e la cultura del Pd oggi

A parte le migrazioni primitive, e che già fanno sorridere dei cercatori del discrimine fra le “razze” umane, nel posto in cui son nato c’è davvero passato ogni popolo d’Europa e del Mediterraneo: stirpi anatoliche, genti italiche, greci civili, truppe dell’africano Annibale e schiere del gotico Alarico, longobardi e normanni, svevi e saraceni, spagnoli e altri italiani d’ogni landa. E siccome è presumibile che nessuno di questi visitatori più o meno pacifici avesse mai fatto voto di castità, è da ritenere che nel mio sangue possa rintracciarsi una goccia di tutti loro. Così, quando ho letto le parole di una certa Patrizia Prestipino del Pd non ho potuto non pensare al fatto che lei, con «razza italiana», intendesse dire «bianca». Bene, per me «bianco» è il colore che lascio al foglio prima che su di esso s’imprimano i segni dell’esserci, allo spazio vuoto, non certo al pieno di vita che genera gli esseri umani. E a quelli come Trump, Le Pen, Salvini e, appunto, Prestipino, se proprio ci tengono; rispetto a loro, rivendico l’esser d’altra razza.

Il punto, però, è un altro. Le frasi della responsabile del dipartimento dem alle varie ed eventuali, pardon, per la difesa degli animali (carica importante, quella di capo dipartimento, altrimenti non si capirebbero le fanfare social e i giornalistici strilloni per altre promozioni a pari incarichi), non sono affatto fuori luogo, anzi. Direi che dopo i decreti per ridurre i diritti giuridici agli stranieri, lo sdoganamento del motto «aiutiamoli a casa loro» e altre perle simili, le parole della Prestipino giungono precisamente e proprio nel luogo giusto; l’attuale Pd. Non vorrei citare nobili voci, ma quel partito ha subito una mutazione culturale. Nell’ansia di dirsi in sintonia con il Paese, è finito a reggergli la coda, lasciandosi trasportare lungo le chine più tristi e nei dirupi meno raggiunti dalla luce del sole. Sempre che così come ora si presenta non fosse già prima e il peccato sia stato semplicemente crederlo diverso, togliendo a questa stagione qualsiasi ambizione rivoluzionaria e relegandola a un semplice fenomeno rivelatorio (rischiando l’azzardo dei concetti che Giustino Fortunato ritenne consoni a periodi di incommensurabile maggior cupezza).

In ogni modo, il tedio per dover commentare tali penose facezie è vinto solo dalla circostanza che vuole quelle genti l’élite dello spazio che pur sempre ci tocca abitare. E anche se ne faremmo volentieri a meno, è sulle Prestipino che dobbiamo misurare il valore in alto che questa nazione sa esprimere. Sapendo che nulla si vede all’orizzonte che possa scalzarli con qualità differenti e considerando che, scrivendone da luoghi lontani (e meritatamente in basso, non ambendo nemmeno a salite verso alcuna meta) dai vertici in cui siedono loro, si fatica a non comprendere quelli che, quasi a prescindere, giudicano immeritata qualsiasi spettanza per cotanto sfoggio di cultura, capacità e competenze.

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