Ma davvero l’altra è migliore?

Ho diverse volte spiegato che difficilmente potrei trovare punti di contatto con il M5S e i suoi rappresentanti, al di là di singole idee o posizioni incidentalmente condivisibili o che partano da dati così reali e indiscutibili da rendere necessario il conceder loro la ragione. E non è per i modi, ma per gli assunti da cui principiano e per le conclusioni alle quali spesso arrivano, non di rado difficilmente contenibili nell’alveo della democrazia rappresentativa e nelle distinzioni fra le parti in cui la società, ancora, si divide.

Detto questo, l’elemento che più caratterizza le analisi critiche su quel movimento è connesso con la qualità del personale politico. Per citare a esempio solo l’ultima dissertazione in ordine temporale letta su tale argomento, provo a sintetizzare quel tipo di giudizio con le parole di Ernesto Galli della Loggia. Lo storico ed editorialista del Corriere della Sera, sabato scorso, imputava ai parlamentari grillini «scarsa dimestichezza, in generale, con la dimensione del “discorso” […] con la capacità di esporre spiegazioni verosimili, di articolare nessi plausibili, di modellare argomentazioni almeno in parte fondate, di usare una retorica che non sia quella elementarissima del “bianco e nero”». Scarsa dimistichezza che Galli della Loggia legava, per un verso, alla loro inesperienza in quelle organizzazioni e realtà, partiti, sindacati, associazioni, capaci di “allenare” al dialogo, ma dall’altro, ed era la parte più dura della sua critica, all’essere essi «il frutto compiuto dello sfasciato sistema d’istruzione del loro (e ahimè nostro) Paese. Nel loro modo di parlare e di ragionare, nel loro lessico, è facile indovinare curriculum scolastici rabberciati, insegnanti troppo indulgenti, lauree triennali in scienze della comunicazione, studi svogliati, poche letture, promozioni strappate con i denti». Parole, queste ultime, se non del tutto giuste, quasi in niente sbagliate, parafrasando De André. E però, una domanda la suscitano e non posso non darle voce: davvero ritenete che la classe dirigente che le altre forze politiche esprimono e promuovono oggi sia sostanzialmente e significativamente migliore?

Infatti, pur non potendo negare la fondatezza dell’accusa che ai rappresentanti pentastellati viene rivolta circa le loro scarse qualità, non posso evitare di far correre la mente a cercare paralleli e paragoni fra quanti a questi contendono la scena e le piazze mediatiche e istituzionali, e concludere che se il M5S è così competitivo è pure perché, sul lato delle qualità dei protagonisti, non si notano differenze importanti con gli altri. Perché guardate che se siamo al punto in cui i cinquestelle sono ritenuti una valida alternativa da un terzo, se non di più, della popolazione italiana è proprio perché le classi dirigenti degli altri partiti hanno dimostrato di cosa siano capaci in questi anni. E poi, insomma, io li vedo e li ascolto quegli altri, e non mi sembrano affatto differenti.

Il gioco per cui si cerca il peggiore dei grillini e lo si agita come spauracchio per magnificare il migliore del Pd o di qualche altro partito tradizionale potrà andar bene per i tifosi, ma non convince per nulla quelli che intendono la politica come un continuo «camminare domandando». E dello sproloquio di certezze puntualmente dimostrantesi piene del niente da cui muovono ne sento di pari, se non maggiore, intensità anche da chi all’imperizia dei «populisti» si pone quale argine di capacità.

Ed è per quello che son sempre più sedotto dal richiamo di Bartleby nella scelta elettorale.

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