I voti sono l’unica competenza necessaria

Nel post che precede questo cercavo di spiegare come sia fuorviante la ricerca delle differenze qualitative fra i gruppi dirigenti e il personale politico dei diversi partiti che in questo momento si contendono la scena perché, al di là delle singole opinioni e dei differenti programmi, questi sono sostanzialmente paragonabili e assibilabili. E se può sembrare ingeneroso paragonare quelli che credono nelle scie chimiche a quanti sostengono la necessità delle riforme per fare le riforme, nessuno può togliermi il dubbio che le parti non possano invertirsi appena i rispettivi leader mutino le opinioni a riguardo di queste faccende.

Nonostante la mia critica apparentemente urticante, io non penso affatto che i rappresentanti che abbiano non siano idonei ai ruoli che ricoprono. La migliore sintesi del perché essi siano nel posto giusto la offrono le parole di Teresa Bellanova. Intervistata da Enrico Marro per il Corriere della Sera, la viceministra per lo Sviluppo economico ha detto: «Ho grande rispetto per i ministri tecnici, ma sono sufficientemente accorta per non sottovalutare che un governo si regge sul consenso dei cittadini e che non si può prescindere da questo». Semplice e indiscutibile; piacciano o meno, i voti li hanno loro e, nel sistema in cui siamo, tanto basta.

Non serve assolutamente a nulla discutere su altre competenze che non siano quelle che realmente valgono e sono determinanti, quelle che discendono dai rapporti di forza. In politica come in tutti gli altri settori, chi ha il mandato per decidere, decide. Al vertice di una società per azioni, sul ponte di comando di un’impresa di famiglia, alla guida di uno Stato non si arriva perché si è capaci, ma perché si dispone del potere necessario o si è sostenuti da chi di quello può disporre. Poi il resto non guasta, come orpello o completamento; il succo, però, rimane la facoltà di agire e scegliere.

In questa democrazia istituzionalizzata, appunto, i voti.

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