L’economia come destino

«Die Wirtschaft ist das Schicksal», l’economia è il destino. Lo scrisse Walter Rathenau, idealista, imprenditore e ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar. A pensarci, è fatalmente così: se solo la prima fosse stata diversa, anche il secondo di quell’esperienza in cui si ritrovò a ricoprire un ruolo di governo sarebbe stato notevolmente differente. Non andò in quel modo, e sappiamo quanto di peggio successe dopo quella breve parentesi di una democrazia forse giunta troppo presto.

Ormai da tempo, gli Stati moderni hanno scelto quella economica come unica dimensione del loro farsi e sostenersi e le società di cui questi sono espressioni non fanno altro che ripetere il senso di una simile decisione. I tg della sera chiudono dicendoci i dati delle Borse e aprono con quelli dell’andamento del Pil; nel mezzo, la vita delle donne e degli uomini diventa un accidente, un aneddoto, al limite, un incidente da raccontare per i suoi toni e colori. Perciò, può accadere che si discuta di indici e percentuali, traendone giubilo o maturandone depressione, senza che in effetti essi significhino niente nel concreto. Ma se di quello fai destino, su quello rischi di schiantare la tua vita, vera, da vivere.

Vale per i singoli come per i governi, per questo sono state un passaggio molto commentato nei giorni scorsi le parole del ministro Padoan sulla necessità di rivedere al ribasso le stime di crescita per l’economia dell’Italia, come i dati diffusi dal centro studi di Confindustria, latori di scenari ancor meno rosei, se così si può dire. D’altronde, come si diceva, se su quell’aspetto, e solo su quello, i rappresentanti si giocano la loro stessa esistenza è normale che solo su quegli argomenti vengano giudicati e commentati.

Avendo festeggiato la fine delle ideologie, distrutto ogni legame che non fosse interesse (in economia, infatti, non ne esistono di diversi), dissipato e arso sull’altare di un malinteso e vuoto rinnovamento qualsiasi senso di appartenenza inteso come stare da una parte nella coscienza che altri facciano altrettanto, non rimane che il tornaconto, immediato quanto inesaudibile. E non sto dicendo che l’economia sia una variabile insignificante o che possa essere trascurata con leggerezza; sto dicendo che, con le parole di Rathenau, se n’è fatto un destino universale.

E quello che viviamo è quanto da quella scelta è disceso.

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