«Ma una bocciatura delle riforme istituzionali porrebbe problemi seri di stabilità all’interno, e di credibilità a livello internazionale. E si riaprirebbero le scommesse spregiudicate della speculazione finanziaria sul futuro del Paese». Così il “notista” politico del Corriere della Sera, Massimo Franco, nel suo commento quotidiano sull’edizione di ieri, venerdì 29 luglio.
A me, però, tutta questa abbuffata di toni escatologici un po’ ha stufato. Anche perché, se fossero vere le tesi millenariste di quelli che “o passa la riforma da tempo attesa dei riformatori fino a ieri attendenti, o sarà pianto e stridore di denti per l’eternità”, a uno verrebbe da dire: e allora, per quale motivo avete voluto rischiare? Non potevate rinunciare e cercare consensi più ampi e stagioni migliori per tutto quello che volevate fare? Era davvero necessario tentare questa specie di “gioco del pollo”, in cui a rischiare di prendere per il burrone è, come voi dite, l’intero Paese? Stando alla logica sottesa a quegli oscuri presagi, gli irresponsabili sarebbero proprio quelli che una simile prova di forza “a maggioranza” l’hanno voluta.
Dico, per esempio, siccome la maggioranza era quella che è, e dato che la sua espressione istituzionale non è frutto di una corretta proporzione rispetto ai dati reali ma si è formata e costituita in base a un meccanismo eccessivamente premiante (tra l’altro contenuto in una legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta, e già questo avrebbe consigliato a quel Parlamento di non mettere mano al testo in base al quale era difforme il sistema per cui s’erano essi stessi costituiti in potere), perché non attivare un percorso di confronto con la società e le espressioni di quel popolo a cui appartiene, e che delega, il potere costituente? Prima, intendo, non dopo.
Insomma, se davvero la riforma Renzi-Boschi è fondamentale, e di conseguenza determina gravide ricadute sul sistema e sul suo funzionamento come gli autori dicono, invece di farne qualcosa da fare “perché è sempre meglio far qualcosa che nulla”, e farlo subito perché non si può aspettare ancora, non si poteva pensare a un cammino più condiviso, per arrivare, magari, a un testo maggiormente calato nelle aspettative e nelle volontà del Paese a cui si rivolgerà e che su quello dovrebbe unirsi, non dividersi come al contrario sta accadendo lungo la via scelta?
In sintesi, se realmente si teme che lo scontro possa essere dannoso e il fallimento ancor di più, se sono sinceri gli appelli all’unità e alla collaborazione nella definizione della Carta comune e fondante del vivere civile tradotto in norma, non si poteva, e non si può, rinunciare a ridisegnarne i contorni e i confini con la sola forza dei numeri nel vigore d’un potere accidentalmente detenuto?
Dopotutto, la Costituzione non si era mica obbligati a riformarla.