Immaginate che accadesse in Europa

Chiusa la convention dei Democratici dopo quella dei Repubblicani, ormai anche l’ufficialità dei crismi sancisce che la sfida alle presidenziali Usa di novembre sarà tra Hillary Clinton e Donald Trump. Va da sé che io tifi per la prima, pure se non riuscirò a dar colpe ai tanti che, della tenzone, non saranno entusiasti e difficilmente quella mattina si alzeranno con la voglia necessaria a farli uscire di casa per mettersi in fila ai seggi, sempre che prima si siano registrati, ovviamente. Dopotutto, quella democrazia da tempo si fonda sull’astensione, e nessuno ha trovato nulla da eccepire, quando a vincere erano i suoi beniamini. Se domani fosse un ricco incantatore dai capelli improbabili, sarebbe solo l’esito a cui quel sistema avrà condotto.

Ma non è di questo che voglio scrivere; ciò che qui m’interessa è un altro aspetto. Oggi sulla scena c’è una Clinton, con un altro, Bill, già due volte inquilino della Casa Bianca, a farle da supporter. Prima c’erano stati i Bush, padre e figlio, George entrambi, e abbiamo rischiato il terzo, Jeb. E ancora i Kennedy, che sarebbe meglio dirli all’americana, con la “s” a sottolinearne la saga; John e Bob con le loro tragiche fini, e la carriera infinita di Ted. Sembrerebbe quasi che il buon Edward C. Banfield avrebbe potuto ben evitarselo un viaggio nelle lande di Lucania per scovare una Chiaromonte da nascondere dietro Montegrano. O forse, voleva solo cercare in basso le radici di un fenomeno sociale di cui, a casa sua, poteva scorgere le fioriture al vertice.

Non so se sia amorale o meno, ma di certo nelle sfere del gotha politico e di potere americano di familismo ce n’è a sufficienza. Se non fosse stata interrotta dalla vittoria Obama su Hillary alle primarie del 2008, la storia degli ultimi anni della presidenza americana sarebbe stata un affare di famiglie: Bush, Clinton, Bush, Clinton… Roba che da questa parte dell’Atlantico farebbe gridare, e con ragione, allo scandalo.

Invece, pare tutto normale, e nessuno nota il corto circuito. Perché, vedete, io credo che siano in quello da ricercare alcuni dei motivi per cui, forse, molti non si metteranno in fila per esprimere il proprio consenso. Obama, per la vicenda di cui era incarnazione, rappresentava la plastica dimostrazione di un’alternativa possibile. Ma la Clinton, e identico discorso varrebbe per un Bush a scelta, davvero potrebbe essere una mia rappresentante?

Il ripetersi dei cognomi e la possibilità che alcuni hanno di ritornare nel luogo simbolo della nazione in cui han già vissuto o son cresciuti, fa di quello la raffigurazione di uno Stato “a disposizione” sempre, e solo, delle stesse dinastie. In questo, la democrazia dei soldi non differisce e non s’allontana dai sistemi monarchici che, tra fratelli, cugini, consorti e cognati, per secoli hanno affidato l’Europa nelle mani di uno sparuto gruppo di famiglie regnanti.

E così, un Homer Simpson dem il prossimo 8 novembre rimarrà sul divano, pensando, per usare le parole dell’autore de Le basi morali di una società arretrata, a come «massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli alti si comportino allo stesso modo». Guardando a quello che accade ai vertici del suo Paese e che passa quotidianamente nella sua tv via cavo, è difficile dargli torto.

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