«Se nelle periferie dove c’è più sofferenza siamo vissuti come marziani o, peggio, come nemici, vuol dire che si è perso il legame con un pezzo di Paese». Così Gianni Cuperlo, in un’intervista di un paio giorni fa a La Stampa sull’esito dei ballottaggi per le amministrative. «Nelle periferie ci considerano inutili», spiegava ieri Marianna Madia a la Repubblica, coraggiosamente sfidando il sarcasmo. Ma il governo già pensa alla soluzione: prestiti da un fondo pubblico per la ristrutturazione dei condomini, da restituire in bolletta a comode rate, perché il problema è quello della tinteggiatura delle soglie dei balconi. Un po’ come l’idea per l’uscita anticipata dal lavoro, con un mutuo ventennale che porta l’ultimo pagamento qualche anno dopo l’aspettativa media di vita; dev’essere un augurio, evidentemente.
Quello che però un po’ m’incuriosisce è quanto si legge in controluce nelle dichiarazioni della Madia e di Cuperlo. Sembrano quasi voler dire: andiamo in quelle periferie e facciamoci interlocutori di chi le abita. Voi due? Cioè, uno con l’eleganza di Cuperlo e una come la Madia, che sa di upper class da mille miglia? Sarà, ma a me il solo pensiero di due così in giro per i quartieri popolari in cerca di argomenti per stabilire delle connessioni ha fatto venire in mente una scena de Il momento di uccidere, il film con Samuel L. Jackson, Kevin Spacey, Sandra Bullock e Matthew McConaughey. Lì c’è un tale, Carl Lee Hailey, di colore, interpretato da Jackson, in una cittadina del Mississippi, che si fa giustizia da sé per le violenze indicibili subite dalla figlia, viene arrestato e mandato a processo. Sapete quella cosa curiosa, molto americana, per cui le parti possono ricusare alcuni giurati? Bene, togli uno, togli l’altro, rimangono tutti bianchi. Carl Lee li guarda e fa al suo avvocato: «e quella sarebbe una giuria di miei pari?».
Ecco, io li guarderei così, se abitassi in quartieri a rischio e si presentassero loro a cercare di capire e di risolvere i miei problemi. Vedete, dall’alto dei mie quasi milleduecento euro al mese, ancorché precari, io mi ritengo un fortunato nel mondo e nel tempo che viviamo. Eppure, se uno come Cuperlo e ancor più come la Madia venissero a parlarmi di questioni legate alle difficoltà della mia quotidianità, nella migliore e più educata delle ipotesi, scoppierei a ridere fino alle lacrime.
No, davvero, preoccupatevi delle cose che conoscete come avete fatto finora e lasciate perdere ciò di cui non vi è mai interessato nulla finché non è divenuta questione elettorale. La differenza di posizione è status sociale fra me e voi è già inconciliabile per ogni discorso serio sulle cose reali, immaginate quella fra voi e quanti che nemmeno si permettono il lusso di perdere tempo a fingere di cercare di capire il mondo che gli sta intorno come faccio io.
A meno di un decimo del vostro reddito, mi rendo conto di vivere una situazione di privilegio rispetto a quelli a cui ora vorreste parlare. Nonostante la mia condizione sicuramente migliore di molte, troppe altre, spesso nelle riunioni e negli organismi del Pd che mi sono trovato a frequentare mi sono accorto di essere il meno abbiente fra i presenti. E se ammetto che per me il discorso sugli emolumenti di chi fa politica per professione non è mai stato interessante, devo altrettanto ammettere che, con non poche ragioni, questo è uno dei fulcri sui quali quel sentimento di alterità tra coloro che vivono ai margini della città e chi riempie il centro dei palazzi fa leva, e non lo rimuovi con una chiacchierata
Nemmeno se per una volta sostituisci il prosecco doc col “peroncino”, diciamo.
Spezzo una lancia in favore di Cuperlo. Associarlo alla Madia è ingeneroso.
Sicuramente non vive in periferia, ma un’attenzione politica nei confronti dei più deboli mi sembra giusto riconoscergliela. Salvo poi dargli una legnata per le sue scelte.
Sulla Madia, Odifreddi scrisse un testo che mi piace ogni tanto ricordare.
Alle elezioni del 2008, Walter Veltroni usa le prerogative del porcellum per candidare capolista alla Camera per il Pd nella XV circoscrizione del Lazio la sconosciuta ventisettenne Marianna Madia. Alla conferenza stampa di presentazione, agli attoniti giornalisti la signorina dichiara gigionescamente di “portare in dote la propria inesperienza”.
In realtà è una raccomandata di ferro, con un pedigree lungo come il catalogo del Don Giovanni. E’ pronipote di Titta Madia, deputato del Regno con Mussolini, e della Repubblica con Almirante. E’ figlia di un amico di Veltroni, giornalista Rai e attore. E’ fidanzata del figlio di Giorgio Napolitano. E’ stagista al centro studi Arel di Enrico Letta. La sua candidatura è dunque espressione del più antico e squallido nepotismo, mascherato da novità giovanilista e femminista. E fa scandalo per il favoristismo, come dovrebbe.
In parlamento la Madia brilla come una delle 22 stelle del Pd che non partecipano, con assenze ingiustificate, al voto sullo scudo fiscale proposto da Berlusconi, che passa per 20 voti: dunque, è direttamente responsabile per la mancata caduta del governo, che aveva posto la fiducia sul decreto legge. Di nuovo fa scandalo, questa volta per l’assenteismo. La sua scusa: stava andando in Brasile per una visita medica, come una qualunque figlia di papà.
Invece di essere cacciata a pedate, viene ripresentata col porcellum anche alle elezioni del 2013. Ma poi arriva il grande Rottamatore, e la sua sorte dovrebbe essere segnata. Invece, entra nella segreteria del partito dopo l’elezione a segretario di Renzi, e ora viene addirittura catapultata da lui nel suo governo: ministra della Semplificazione, ovviamente, visto che più semplice la vita per lei non avrebbe potuto essere. Altro che rottamazione: l’era Renzi inizia all’insegna del riciclo dei rottami, nella miglior tradizione democristiana.
La riciclata ora rispolvererà l’argomento che aveva già usato fin dalla sua prima discesa paracadutata in campo: “Non preoccupatevi di come sono arrivata qui, giudicatemi per cosa farò”. Ottimo argomento, lo stesso usato dal riciclatore che dice: “Non preoccupatevi di come ho ottenuto i miei capitali, giudicatemi per come li investo”. Se qualcuno ancora sperava di liberarsi dai rottami e dai riciclatori, è servito. L’Italia, nel frattempo, continui ad arrangiarsi.