Il dì dell’oblio

Ieri è stato il “Giorno della Memoria”. In quello precedente, il parlamento danese, e quindi, se la democrazia rappresentativa ha un fondamento, il popolo di Danimarca, ha approvato una legge per confiscare ai migranti i beni e gli averi risparmiati da guerre e miserie, quale contributo alla spese di accoglienza, pratica che già adottano la Svizzera e i lander di Baviera e Baden-Württenberg, e i governi europei, vale a dire, sempre nella logica della rappresentanza, i popoli d’Europa, sono stati a un passo dal mettere in discussione quell’Unione di cui cantano le lodi, per paura di dover “redistribuire”, quasi fossero merci, nei loro paesi i profughi che fuggono dalla morte, ché di fame o d’armi uccide ugualmente.

Con tutta franchezza, io non lo so che cosa abbiamo ricordato il 27 gennaio. Non lo so, perché se lo sapessi, dovrei ricordare che tutto iniziò perché alcuni esseri umani venivano continuamente scacciati dalle proprie case. Non lo so, perché se lo sapessi, allora dovrei ricordare che nessuno si disse disponibile ad accoglierli e dar loro rifugio. Non lo so, perché se lo sapessi, dovrei ricordare che furono molti quelli che passarono per i camini, come sono troppi quelli che oggi trapassano nel mare.

Sono triste? Non più di quanto lo dovremmo essere tutti. Sapete, nel luglio del 1938, la rivista Fortune pubblicò un sondaggio da cui emergeva che per il 67,4% degli statunitensi, alla domanda se si dovessero accogliere rifugiati politici provenienti da Austria e Germania, la risposta era “with conditions as they are, we should try to keep them out”, così come stanno le cose, dovremmo tenerli alla larga. E le cose stavano, in quel momento, che l’Austria e la Germania erano già il Terzo Reich di Hitler. Di più, da una rilevazione del 20 gennaio dell’anno successivo, e c’era già stata la Kristallnacht, e nessuno poteva più fingere di non aver capito,  l’American Institute of Public Opinion scoprì che, alla domanda se il governo dovesse o meno accogliere 10.000 bambini ebrei tedeschi per cui era stato proposto l’asilo negli Usa, il 61% degli intervistati rispondeva “no” (i due sondaggi sono sintetizzati dal Washington Post qui, con tanto di specificazioni sulla situazione di crisi economica di allora – ma non c’è pure oggi? – e i parallelismi non nascosti con i fatti europei di oggi, comprese le sorti dei bimbi).

Quindi, mi chiedo, cosa stiamo ricordando con quelle celebrazioni? Perché guardando chi “lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no”, noi, nelle nostre “tiepide case”, dovremmo meditare che questo ancora è.

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