Un’app vi sostituirà

«Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso». Lo, la citazione è importante. E so che potrebbe apparire fuori luogo, messa lì, con tutti i suoi cinquant’anni di storia vissuta, direttamente ripescata da un mondo che non c’è più che ingenerosamente rischierebbe d’essere tirato al centro di un discorso che non gli appartiene. Nondimeno, quelle parole contengono al meglio il senso di quello che avverto nel confrontarmi con l’universo delle app per i servizi low cost.

Ammetto la totale inadeguatezza culturale nel rapportarmi a questo mondo, ma non riesco a non simpatizzare per quelli che ne vengono schiacciati. Prendiamo il caso di Uber, che è ritornato nuovamente a infiammare, e non è una metafora, le città europee: davvero la liberalizzazione di un servizio come quello dei taxi porterebbe così immensi benefici da poter tranquillamente ignorare le vite dei tassisti che verrebbero spazzate via? Non ne sono convinto.

E non capisco nemmeno chi sarebbero i potenziali destinatari di quel vantaggio. Certo, i proprietari della Uber che guadagnano sulle transazioni. E poi chi? Quelli che usano il servizio? Ovviamente. Già lì si pone il confine della prerogativa sociale, dato che il taxi a Vicolo Corto non lo prende nessuno, mentre a Piazza della Vittoria quasi tutti, ed è inoltre proprio dalla cultura della liberalizzazione che nasce il ritiro del pubblico dai servizi essenziali, come quello della mobilità nelle zone periferiche e distanti dai grandi centri. Ai lavoratori, invece, qui sono sicuro: vantaggi non ne portano, come non ne sono arrivati dalle liberalizzazioni del mercato dell’energia e delle comunicazioni, sempre che non si vogliano considerare tali l’essere costretti a mercanteggiare via telefono o casa per casa accordi per nuove forniture, avendo in tasca un straccio d’impiego che definire contratto è un’offesa alla civiltà del diritto, prima ancora e al di là di quella del lavoro.

Mi si dice: “ma i tassisti sono corporazione, e difendono i loro privilegi”. Un po’ come si potrebbe dire dei notai o dei farmacisti. E torniamo alla questione sociale: per quanto mi sforzi, non riesco proprio a vedere legami di classe, avrebbero detto la politica, di ceto, direbbero i sociologi, fra quelle categorie, accomunate, nel racconto comune, da riflessi automatici di difesa corporativa.

Chiaramente, non escludo che la mia sia una visione parziale e invecchiata rispetto all’esperienza dei tempi presenti. Però, come m’è capitato di raccontare altre volte, quando vedo un tassista mi torna in mente Sergio, l’operario del film Signorina Effe che alla fine di quella dura stagione di lotta sconfitta dalla sempre proterva “maggioranza silenziosa”, perde il proprio lavoro, s’indebita e acquista una licenza per il taxi. Poi arriva un software che gli stessi maggioritari silenti vogliono per risparmiare qualche euro, e lui perde tutto, ancora, di nuovo.

Non pensate a Sergio, pensate a voi. E a quando sarete sostituiti da un’app.

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