Paura che i populisti vadano al governo? Ci sono già

Dice il Dizionario di Politica di Bobbio, Matteucci, Pasquino: «Possono essere definite populiste quelle formule politiche per le quali fonte precipua d’ispirazione e termine costante di riferimento  è il popolo, considerato come aggregato sociale omogeneo e come depositario esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti». Quindi, è populista la democrazia diretta della “rete”, che si appella al verdetto popolare quale certificazione della bontà delle scelte, di cui fanno professione Grillo e larghi strati del M5S? Certo. Lo sono i richiami al “noi siamo la gente” fatti da leader e militanti della destra di Salvini? Ovvio.

Nondimeno, populista è ricercare il plebiscito sulle proprie riforme costituzionali, come fa Renzi, o dire che, in fondo, quella sul reato di clandestinità è «una norma sbagliata», ma il popolo non è pronto per la sua abolizione. E passi che lo dica uno come Alfano, ma se a sostenere identica tesi è la ministra Boschi, simbolo e sostanza della nuova classe dirigente e di governo (absit iniura verbis), allora la faccenda si complica: lei, per ruolo e competenze, dovrebbe sentire l’urgenza, morale prim’ancora che politica, di ergersi a statista, al contrario, preferisce acconciarsi al ruolo di campionessa del consenso, pronta a non fare la cosa che ritiene giusta, se questa può non essere appieno compresa da quella che pensa essere l’opinione pubblica.

E sì, m’è stato già detto: “fare la cosa giusta non basta, se poi l’effetto è portare acqua alla propaganda leghista”. Il fatto è che, semplicemente, è una cretinata. Perché acqua alla propaganda leghista la porta chi invece di contrastarne le richieste le asseconda. Insomma, appena uscita la notizia di una possibile cancellazione per decreto del reato di immigrazione clandestina, la destra ha ruggito dicendo che sarebbe stato come “spalancare la porta all’invasione straniera”; l’intero esecutivo, impaurito da quel ruggito, penserà l’opinione pubblica (ci avete pensato?), ha subito fatto marcia indietro, accontentando in un sol colpo tutti gli istinti più retrivi dell’italico comune sentire scambiato per egemonia.

No, qui siamo al “populismo di governo”. Quel modo di condurre la cosa pubblica costantemente teso a ricercare plebiscitariamente il favore del popolo inteso come pubblico, che non fa prendere le decisioni che gli stessi governanti ritengono necessarie pur di non indispettire i potenziali elettori di domani e che, in fin dei conti, si traduce in una collettiva “lavata di mani” rispetto alle responsabilità a cui chi amministra è chiamato a rispondere: “cosa volete che abolisca, il reato di clandestinità o le tasse sulla casa?”.

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