Le categorie dell’impolitico

«Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità». È Paolo di Tarso (1 Corinzi 13,13), ma tranquilli, non parlerò di religione; ne discutono già troppi in questi giorni, e non sempre sapendo quello che dicono. Quelle parole, invece, c’entrano sul piano politico e sociale, e in quel senso, sì, tangono la questione delle religioni come approccio culturale agli altri. Proverò ad andare con ordine.

Dunque, pare che stiamo vivendo il periodo in cui chi non nutre la stessa “fiducia” della maggioranza, è un reprobo, un disfattista pericoloso, nella migliore delle ipotesi un “gufo rosicone”. Anche gli analisti politici e i politologi di professione sono sempre più costretti a ricorrere a categorie dell’impolitico nel loro discutere delle questioni attuali: la fiducia, ovvio, ma pure il sentimento, e il risentimento, certo, l’entusiasmo, l’ottimismo, lo scoramento, il pessimismo. Su tali questioni, però, le divisioni diventano nette e non componibili. Insomma, in quel terreno, la politica cede il passo e smarrisce la sua funzione, diventa inutile e chi o cosa la sostituisce può essere inquietante.

E allora torno alle parole di Paolo: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità». Perché la più importante è la carità? Perché solo essa, in quella triade, rende umano l’altro. Fede e speranza, infatti, non sono per forza condivise, anzi; possono essere il vero motivo di divisione, anche insanabile, pure violenta. Chi ne ha altre, come chi ha altre “fiducie”, altri “ottimismi”, altri “sentimenti”, rischia, se solo quelli sono i codici e i valori portanti, di essere disumanizzato nel nostro percepirlo. La carità, al contrario, ci conduce a vedere nell’altro la sua umanità, la sua similitudine con noi, il suo essere parte del nostro destino. Non più contrapposizione, ma condivisione, seppure nelle differenze.

Allo stesso modo, assolutizzare le categorie “sentimentali” nella politica, superando il comune assunto per cui le visioni diverse dalla nostra hanno identico diritto e legittimità, dimenticando, cioè, non la carità, che appartiene a sfere diverse, ma la coscienza che una società democratica vive sulla contrapposizione di idee differenti, porta su campi che nulla hanno a che fare con la politica. E che sono pericolosi.

Pericolosi perché, come la fede e la speranza senza carità disumanizzano l’altro, i sentimenti senza la pratica concreta della democrazia, del confronto e del dialogo come del conflitto e della contraddizione, lo rendono di per sé stesso, solo in quanto portatore di diversi sentimenti, “nemico”. Pier Paolo Pasolini, perché te ne sei andato così presto: «La carità – questa “cosa” misteriosa e trascurata – al contrario della fede e della speranza, tanto chiare e d’uso comune, è indispensabile alla fede e alla speranza stesse. Infatti la carità è pensabile anche di per sé: la fede e la speranza sono impensabili senza la carità: non solo impensabili, ma mostruose. Quelle del Nazismo (e quindi di un intero popolo) erano fede e speranza senza carità. Lo stesso si dica per la Chiesa clericale. Insomma, il potere – qualunque potere – ha bisogno dell’alibi della fede e della speranza. Non ha affatto bisogno dell’alibi della carità. L’abitudine alla fede e alla speranza senza carità è un’abitudine difficile da perdere. Quanti cattolici, diventando comunisti, portano con sé la fede e la speranza, e trascurano, senza porsene il problema, la carità. È così che nasce il fascismo di sinistra» (dalla rubrica Il Caos sul settimanale Tempo, n. 40 del 28 settembre 1968).

Trasportando quel concetto che appare squisitamente religioso sul piano sociale, ecco allora che abbiamo uno sguardo su quello che manca nella visione del potere verso i propri antagonisti. Se esso è così forte, egemone, da imporre il suo punto di vista, allora chiunque ne dissente smette di essere legittimo suo avversario, ma diviene nemico del bene comune. Così come, in quello schema, quanti gli si oppongono non sono intenzionati a lottare contro di esso, ma semplicemente a diventare loro “quel potere”. Facendo della politica una questione tribale di gruppi che si fronteggiano sulla base di fedi e speranze diverse, indisponibili a vedere nell’altro un interlocutore con altre idee.

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1 risposta a Le categorie dell’impolitico

  1. Fabrizio scrive:

    L’ impolitismo del colui che ci sta governando con il suo carro di politicanti e politichesi , i buoi siamo noi “popolo italiano” , nella realta’ della vita quotidiana non e’ altro che il tramonto della democrazia nell’era della globalizzazione.
    La legge sul reato di immigrazione clandestina non rispetta la persona umana;
    la persona umana e’ di fatto un “oggetto materiale” e pertanto sarebbe opportuno per il bene comune di legittima convivenza ed integrazione , far apprendere e conoscere che non solo non rispetta e non tutela l’art. 1163 del codice civile italiano ma non rispetta anche e sopratutto i diritti civili e politici carta internazionale sui diritti umani e carta sociale europea dei diritti dell’ uomo.

    p.s. segue……

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