Napolitano è sempre lui

Ho letto con condivisione, ma con grande stupore, le prese di distanza di molti esponenti del Pd dalle parole di Giorgio Napolitano nella sua lettera al Corriere della sera, incentrata sull’imprescindibilità e l’improcrastinabilità delle “riforme”. La condivisione sta nel fatto che da tempo sostengo che quelle riforme, così come sono pensate e disegnate, sono sbagliate e, come tutte le cose della politica, non sono affatto ineluttabili e indiscutibili. Lo stupore nasce dalla considerazione che quelle parole l’ex capo dello Stato le dice da anni, con la stessa sicurezza proterva e con la medesima insofferenza e indisponibilità verso le ragioni dei dissidenti.

Ciò che cambia, semmai, è che adesso i dissidenti sono loro. Napolitano sostiene da sempre la tesi per cui la politica sarebbe, in buona sostanza, una sorta di “pratica di governo passiva”, in cui dall’alto, dall’esecutivo e dalle massime istituzioni, si determina il percorso da seguire e l’intendenza, Parlamento compreso, può al massimo seguire, o eccepire in buona educazione, senza mettere in discussione l’ordine stabilito, magari attraverso il tentativo, “irresponsabile e velleitario”, di ricercare altri assetti e organizzazioni.

Ma l’unico inquilino del Quirinale succeduto a se stesso è sempre stato così. Lui ha conosciuto la politica come si può incontrare la fede nelle sagrestie, non immagina e non può contemplare la possibilità che questa si possa fare al di fuori delle stanze in cui ha sempre vissuto. Non so nemmeno se sappia che questi altri modi esistono. Ed è sempre stato col potere e mai col dissenso perché così gli hanno spiegato che deve essere quel mondo, ed extra Ecclesiam nulla salus.

Leggere oggi quelli che spingevano il “carro delle riforme”, non differenti per sostanza e natura governista e maggioritaria, parlare addirittura di “intervento inopportuno” a proposito di quella lettera al Corriere, da un lato fa piacere, dall’altro sorridere. Un po’ come quando si leggono commenti contrari alla linea de l’Unità di D’Angelis: quel giornale è stato sempre col segretario e contro i dissidenti. Solo che una volta le parti erano ribaltate, e quando i dissidenti venivano disegnati, anche dalle matite colorate di satiri che si immaginano politologi, come parvenu o naïf della politica, quelli che oggi alzano alti lai non proferivano verbo, quando non plaudevano estatici al randello del partito.

La ricordate tutti la poesia di Niemöller, vero?

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