Osservandole dalla loro parte, le cose vanno come devono andare

“Nell’immediato, le riforme rispondono alla domanda di cambiamento del Paese e restituiscono così la fiducia necessaria a rilanciare consumi e investimenti”. Il centro studi di Confindustria promuove l’azione del governo Renzi, e su questo, sinceramente, non avevamo dubbi. Quello che stupisce è il fatto che lo stesso osservatorio vede una ripresa della fiducia nei consumatori, proprio grazie all’azione riformatrice messa in campo dal premier.

Questo è quello che osservano gli industriali. Mentre l’Istat registra un calo della fiducia dei consumatori e GS1 Italy/Indicod-Ecr quella delle imprese. Ma soprattutto, mentre il Ministero del lavoro parla di una crescita eccezionale dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, e Renzi dice che da quando c’è lui a Palazzo Chigi, l’occupazione è davvero cresciuta, ancora l’Istituto nazionale di statistica registra che a crescere è la disoccupazione, con la percentuale dei senza lavoro che tocca il 13,2% (con un aumento dello 0,3 su base mensile e dell’1 annuale), diventando il 43,3% (più 0,6 e 1,9 rispetto alle rilevazioni mensile e annuale) fra gli under 24, all’anima della youth guarantee.  La guerra dei dati statistici e delle loro misurazioni, sinceramente, non m’appassiona affatto. Quello che osservo io, però, è molto più vicino alle rilevazioni degli statisti di via Cesare Balbo che alle previsioni dei padroni e dei governanti, da Viale dell’Astronomia a via Veneto passando per piazza Colonna.

Cerco di farla breve: personalmente, non ho alcuna fiducia. Anzi, a dirla tutta, sono letteralmente spaventato. Perché? Ma scusate, perché non dovrei esserlo. Sono precario, il Jobs Act e i suoi sostenitori mi spiegano che se non dovessi riuscire a risolvere questa situazione prima del suo ingresso a regime, essa diventerebbe permanente e immutabile, ogni giorno non c’è ministro o politico che non narri la favola dei tagli, che si traducono sempre in aumenti di spesa per i servizi minimi, prospettando crescite e magnifiche sorti e progressive attraverso geniali trovate anglofone e moderniste che puntualmente i dati smentiscono, per quale motivo dovrei essere fiducioso?

Perché quella della fiducia è una cosa seria, non è che la si può imporre per legge, come fosse un voto omonimo al Parlamento. Nel mondo di quelli che si ritengono fortunati se portano a casa un dodicesimo di chi fa le norme che li condannano alla precarietà permanente, questa è un lusso troppo caro, e un bene troppo prezioso per poter essere concessa così facilmente a quanti ne raccontano le virtù, insidiandone la dignità.

Ecco perché io non ne ho tanta. Ed ecco perché, di chi la evoca quale condizione prima per tutto il resto, non mi fido affatto. Perché la fiducia, quella vera, viene dopo; quella, come dire, sulla fiducia è un’altra specie, che può servire per far passare una delega in bianco, certo, ma non per dar senso al mondo delle cose reali.

Questa voce è stata pubblicata in libertà di espressione, politica e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento