Ma sì, togliamo questo cavolo di rimborso elettorale, aboliamo ogni forma di finanziamento pubblico, rendiamoli liquidi questi partiti. Anzi, di più: liquidiamoli del tutto.
A parte le battute, la politica così com’è oggi costa troppo, ed è chiaro che in momenti di difficoltà economiche generali, quello che era affannosamente sostenuto non si sopporti più. Il sostegno pubblico ai partiti (come quello ai sindacati ed ai giornali) è sotto attacco da tempo ormai. L’intero mondo della politica è visto come fonte di sprechi e lussi inconcepibili. Ricorderete “La Casta”, il libro di Rizzo e Stella. E in quegli anni ancora si era disposti a sopportare. Poi è arrivata la “crisi”, e tutto ha assunto aspetti diversi, ancora più difficilmente sopportabili.
Perché è chiaro che se io fatico a superare la terza settimana del mese e poi scopro che un tesoriere di partito investe in diamanti o mangia spaghetti al caviale, mi girano le scatole. Ed è anche comprensibile la reazione dei cittadini, quell’invito ad “andare tutti al diavolo” (che è eufemismo, ovviamente). Una dieta è necessaria, anche per dare un segnale di condivisione delle difficoltà del momento. Ma giusto per togliere tutti i dubbi all’ipotetico lettore, dico subito che a me l’abolizione totale del sostegno pubblico ai partiti non convince. Per due aspetti. Il primo: chiedersi quanto costano i partiti in quel modo è l’altra faccia del dire “a cosa servono i partiti?”. Il secondo: il costo dei partiti è solo il primo tassello del discorso sul costo della politica e poi della democrazia portato su quei toni; anche in questo caso, la domanda spesso diventa “a cosa servono?”.
Ovviamente, l’intero sistema va rivisto. E va rivisto proprio nei suoi costi, nelle sue inefficienze, nei suoi abusi. Ma nel principio, però, io lo salverei. E so che sto sostenendo un’idea totalmente controcorrente; ma son fatto così: coerentemente controcorrente. Perché, se fossi convinto della loro inutilità, mai mi sarei iscritto ad un partito, come ho fatto invece da quando avevo 16 anni.
Partiti e politica costano, ma ritengo ancora che servano e serva ancora che il pubblico in qualche modo si faccia carico del sistema. Non per tenerne fuori i ricchi (che tanto i ricchi fanno quello che vogliono), ma per evitare che solo i ricchi, direttamente o indirettamente, facciano politica. La favola degli Usa è buona giusto per mettere a letto i bambini, ché nella realtà le holding statunitensi decidono ancora chi va a fare il Presidente, e poi quel sostegno le ripaga.
Penso quello che sto scrivendo, ed è per questo che ancora sono iscritto ad un partito, altrimenti, coerenza vorrebbe che non rinnovassi la tessera. Sono convinto che la politica non sia un “magna, magna” generale, altrimenti non le dedicherei nemmeno il tempo di un tweet, altro che giornate passate a studiare, leggere, scrivere, parlare, confrontarmi. E sono convinto che questa debba avere un costo pubblico, proprio per evitare quanto dicevo prima.
Se fossi convinto del contrario, farei altro. Altrimenti sarebbe incoerente. Sarebbe come se il sindaco di una grande città che prima avesse fatto il presidente della provincia e che quindi negli ultimi anni avesse tratto dalla politica il proprio reddito, oggi ne criticasse i costi e la natura dei finanziamenti del suo partito. Assurdo, no? O come se un politico che negli ultimi dieci anni avesse fatto il consigliere regionale, non avendo mai minimante pensato a ridursi l’indennità, oggi si ricordasse dello spreco di denaro pubblico per i trattamenti di fine mandato. O un più volte parlamentare che solo oggi scoprisse che “il Parlamento costa”. Quell’ipotetico sindaco, quell’ipotetico consigliere, quell’ipotetico parlamentare a chi potrebbero rivolgersi, senza che qualcuno potesse dir loro “e perché non avete fatto nulla finora?”.
Anzi, ad un orecchio malizioso e smaliziato, quelle frasi potrebbero suscitare un sentimento esattamente contrario a quello che sicuramente le animasse. Perché, magari, sentendole, qualcuno potrebbe pensare: “guarda, guarda! Sono così attaccati al potere, che ora che butta male, pur di rimanere ai loro posti si dicono pronti a tagliarsi lo stipendio. E perché non ci hanno pensato prima? Non se ne erano accorti dei costi della politica quando ricevevano le indennità sul contro corrente?”. Di costi esagerati della politica può parlare in termini demagogici, mettendo insieme indennità, rimborsi e finanziamenti ai partiti, giusto chi quei soldi non li ha mai presi; ma se di quello in quei termini ne parla chi li ha percepiti per anni e non ha mai pensato di farne a meno, allora s’aggiunge offesa al danno.
Perché al primo politico di medio o lungo corso che parli in termini populistici di riduzione dei costi della politica, accusando quelli come me di voler tenere in piedi un sistema “sanguisuga”, potrei rispondere: “ok, m’hai convinto. Anzi, ti dirò di più: aboliamo tutte le forme di sostegno pubblico ai partiti e riduciamo tutte le indennità. E facciamolo in modo retroattivo”.
Ma nessun che sia stato giustamente retribuito per aver fatto politica, potrebbe mai dire cose come quelle che ho immaginato per assurdo dicessero quel sindaco, quel consigliere e quel parlamentare ipotetici, in termini demagogici e solo per acquisire consensi. Sarebbe come se un facoltoso uomo di spettacolo fondasse un movimento e questo diventasse il primo partito e poi lo stesso si mettesse a fare l’antipolitico che di professione fa il politico. Non può esistere. Non in Italia, almeno. O no?
Vent’anni fa ho preso la mia prima tessera. Non ho mai ricoperto un incarico, di rappresentanza o esecutivo, retribuito, mai avuto un rimborso, mai chiesto un euro per benzina, telefono o altro. Difendo il principio dell’intervento pubblico a sostegno dei partiti perché sono convinto che serva garantire davvero l’accesso per tutti alla possibilità di far politica. Per lo stesso motivo, difendo il principio dell’indennità di carica per chi assuma ruoli rappresentativi, esecutivi e amministrativi. Certo, rivedrei tutti a ribasso i livelli attuali di contribuzione, come quelli degli emolumenti per gli eletti. Nel frattempo aprirei ad un sistema di piccoli contributi di soggetti singoli, ponendo un tetto ai finanziamenti di privati, come alle spese per le campagne elettorali, affidando a organismi terzi ed esterni il controllo sui conti.
Perché farei così? Per evitare che la politica diventi appannaggio solamente di comitati elettorali permanenti, di organismi proprietari di tipo aziendale, con tanto di marchio registrato e ad uso esclusivo del titolare, dove la democrazia interna funziona più o meno come dentro le assemblee delle società per azioni: conto di più perché ho messo più soldi. Altro che “uno vale uno”.
Perché, senza un tribuno ricco abbastanza da permettersi di andare ovunque perseguendo la sua voglia di potere, cavalcando quelli che (nessuno vuole negarlo) sono i mali e le storture del sistema, pensate davvero che si sarebbe potuto affermare il M5S come libera associazione di cittadini? E senza uno straricco imprenditore interessato al perseguimento dei suoi obiettivi personali, che fine avrebbe fatto il Pdl?
Poi, ovviamente, la volontà della maggioranza è sovrana, c’è stato un referendum ed un esito elettorale chiaro. E quindi, cancelliamo pure tutto il sistema dei rimborsi, del sostegno pubblico ai partiti: per me, materialmente, non cambia nulla e continuerò a fare quello che ho sempre fatto. Temo, però, le alternative semplicistiche e non posso smettere di vedere nei partiti l’unico modo di praticare la partecipazione dei molti alla vita pubblica e politica. Perché ancora credo che i partiti siano ponti reali (sì, perché penso ancora che la realtà faccia resistenza nel suo esistere) e continuamente praticabili fra i cittadini e i loro rappresentanti, fra l’elettore e le istituzioni, i soli “portatori di altrettante diverse concezioni dell’interesse generale”, capaci di far “decantare l’immediatezza degli interessi particolari, commisurandoli alla stregua di una interpretazione dell’interesse generale” (cit. Vezio Crisafulli).
Tengo ai partiti perché sono più della somma di coloro che vi aderiscono, perché sono il senso dello stare insieme e condividere un progetto, perché sono un segno dell’essere comunità. Credo nella politica come impegno e partecipazione, come azione collettiva, non come affermazione dei singoli, di leader carismatici, di affabulatori capaci di conquistare il consenso elettorale. Tengo al sistema dei partiti, con tutte le modifiche e tutti i cambiamenti necessari e urgenti da fare e con l’indispensabile quanto spesso non praticata e temuta apertura ai movimenti, e nella loro progressiva delegittimazione e riduzione di senso e significato, di efficacia e di presenza, vedo un problema per il sistema democratico più grave delle presunte soluzioni connesse alle idee illusorie di democrazia diretta. Credo al sistema rappresentativo, al ruolo dei parlamenti e delle assemblee elettive, e vorrei, non ignorando le riforme indispensabili e non più rimandabili, tutelarne forme e funzionamenti.
Questo ha un costo? Certo. Vogliamo rinunciarci?
Anche la democrazia ha dei costi. Vogliamo rinunciarci?
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