Non è un’analisi politica, non ho voglia di farne una e non ne avrei le competenze. Non è una disputa sullo spirito del tempo, sulle forme del cambiamento e sul come si formi quel cambiamento. Non è un discorso di circostanza, ché del mio nessuno sentirebbe l’esigenza.
Queste poche frasi vogliono semplicemente seguire i sentimenti.
Raramente, quasi mai, ho provato gioia vera per quanto avveniva in Parlamento: ieri è successo. È successo perché ho visto il mio partito, la coalizione per cui ho votato, le donne e gli uomini che ho contribuito ad eleggere, capire e cogliere quanto avveniva fuori, rendersi interpreti del mandato popolare, nel senso vero, ultimo ed essenziale. Non una banale diretta in streaming, ma una sostanziale comunanza di sentire con la viva realtà dell’Italia. Quello che ieri è successo alla Camera e al Senato non è successo in quelle aule; è successo nel Paese ed è entrato in quelle sedi per diventare quei gesti concreti.
Laura Boldrini e Pietro Grasso non sono solo due nomi di altissimo spessore, non sono solo personalità degne di rispetto e per questo in grado di rappresentare degnamente le nostre istituzioni. Sono il segno che ci può essere un modo diverso di fare politica. Certo, non è cambiato il mondo in un giorno, non sono così ingenuo da pensarlo, seppure vivo di sogni e nuvole; ma s’è vista una luce, e non voglio schierarmi dalla parte di chi cerca di oscurarla con il cinismo di una ragione interessata che troppo spesso diventa una profezia che s’auto avvera.
Il neo presidente del Senato ieri ha parlato di legalità e giustizia, e mezza aula non ha applaudito; e come potevano. La neo presidente della Camera ha iniziato il suo discorso dagli ultimi, dai poveri, dai migranti che a migliaia dormono sotto il braccio di mare che separa la disperazione di vite stentate dalla speranza di una vita di stenti, e mezza aula non ha applaudito: e come potevano. Due discorsi brevi, ma non di circostanza, hanno ristabilito il senso di alcune cose in cui da sempre credo. E per oggi, va bene così. Grazie a chi ha votato, grazie a chi ha fatto sentire la propria voce anche non essendo lì.
Ma se per oggi è un buon inizio, per domani voglio la luna. E non lo dico per dire, ma davvero. Mi aspetto un Governo che non sia il frutto di bilanciamenti, una politica che sia la persecuzione materiale di un’idea condivisa, mi aspetto che quest’alba non arrivi al tramonto senza essere sicuri di come e dove affrontare la notte.
E poi, voglio vedere davvero il nuovo che in troppi ci hanno promesso, salvo poi premurarsi di spiegarci che sarebbe stato tale solamente se fossero stati loro ad incarnarlo. Voglio vedere davvero discorsi nuovi impersonarsi in biografie diverse, davvero ascoltare altre melodie cantate da voci non già consumatesi su altri motivi. Perché io ancora ci credo che fare politica è più della gestione ordinaria dell’esistente, è tracciare un sogno che sempre deve essere vissuto, è disegnare un percorso che non è stato finora battuto. E poi, però, ci vogliono anche gambe diverse per corse nuove. Davvero. La verità, diceva Nietzsche, può reggersi anche su una sola gamba; ma gliene servono due per camminare ed andare lontano.
Perché voglio cambiare il governo dei processi, non solamente sostituire i governanti. E voglio provare vie nuove che forse chi ha sempre percorso le usuali non è in grado di affrontare. Tutte e due le cose, tutte e due le gambe; altrimenti rimaniamo fermi, anche se avremo ragione.
Io ancora ci credo. E non sono cieco, lo vedo che la politica e i partiti giacciono a terra feriti e dilaniati dagli interessi individuali, dalle lotte di potere, dalla voglia di arrivare primi per sé stessi e non spendersi per gli altri. Eppure, voglio essere lì e provare a curare quelle ferite. A chi denuncia i mali tutti i giorni, chiedo: “noi siamo lì, vuoi darci una mano? Vuoi provare a lenire questi dolori col balsamo di un lavoro da fare insieme, o ti basta gridare intorno, aspettando la morte del malato, per poi salirci sopra con i piedi e spiegare al mondo d’aver avuto ragione? Vuoi provare, con gli altri, a curare quello in cui dici di credere, o temi che ti si sporchi la camicia su misura, e trovi più utile, per te, indicare il problema con il dito, tentando di rappresentarne da solo la soluzione?”.
Un cammino facile? No. Un percorso indolore? Tutt’altro. “Piange ciò che muta, anche per farsi migliore”, scriveva Pasolini. Siamo a questo bivio, e non possiamo distrarci. Lo abbiamo cercato, ma ci è anche capitato. Ora, però, è il tempo di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, prendere il coraggio fra le mani e provare a vedere se passando attraverso queste difficoltà riusciremo ad essere migliori. Non io, non tu: noi. È il momento di sostituire la predica con l’abbraccio, stringerci per camminare insieme. Parlarsi, evitando che le assemblee e le reti diventino somme di mille e mille solitudini rancorose, ma possano essere corpo nuovo per sfide diverse. “È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi/ con i panni e le scarpe e le facce che avevamo”, ci dice Scotellaro. E se questo è il giorno che nasce, è chiaro che va vissuto.
Parole? Sì, e scritte anche male su metri usati dal tempo, unite a qualche pensiero delicato però sorrette da un’ideale forte e radicato, senza nemmeno l’ardire di apparire autorevoli, ma con la modesta certezza di essere autentiche. E poi, io ho solo queste, e le metto a disposizione. Con le parole forse non cambi il mondo, ma puoi contribuire a raccontare il sogno collettivo, comune e complesso che si vuole vivere.
Perché io il nuovo l’ho visto, e l’ho sentito parlare. Non urlava “tutti via”, non spiegava “lasciate fare tutto a me”; chiedeva collaborazione, chiedeva di poter essere utile. Forse il suo muoversi non è già perfetto, come non è mai finita e completa una lingua che nasce. Ma parla ai cuori e alle anime come la tecnica dei professori non ha mai fatto, dice il vero che sente, non le teorie che ha imparato. Non urla mai “io”, ma tende sempre ad affermare “noi”.
Spiega che gli ultimi non si lasciano indietro solo perché non sanno correre alle regole scritte dagli altri per sé stessi, che la libertà senza giustizia sociale è vana, e che quest’ultima senza la prima può opprimere le coscienze. Narra di un mondo in cui si è felici insieme, non si gode da soli. Racconta che se la casa comune è da rifare, non serve andar via per trovarne un’altra da vivere per l’oggi, ma è necessario rimboccarsi le maniche e ricostruirla per il domani.
Il nuovo l’avete visto anche voi, disegnarsi nel sorriso d’un bambino, negli occhi di quella ragazza che non riuscite a dimenticare, nella voce di quell’uomo che vi ha fatto sobbalzare il cuore, sulla pelle segnata dagli anni di quel vecchio che vi raccontava il suo tempo. L’abbiamo visto tutti farsi concreto nell’umanità che abbiamo incontrato, ma spesso abbiamo avuto paura di viverlo.
Io il nuovo l’ho visto anche ieri, ed è lì che voglio stare, a rimettere in piedi tutto quello che c’è da rimettere in piedi, lavorando fianco a fianco con chi ha dimostrato di credere in un altro mondo possibile, in cui c’è posto per il sogno di tanti, ma nessuno spazio per gli egoismi di qualcuno.
Io sto con loro. Noi siamo lì. Voi, volete dare una mano?