Ma loro, ci sono mai stati?

Nel quarto volume di quella che ormai sarà la pentalogia M. di Antonio Scurati, incentrato sui primi tre anni di guerra per l’Italia, dal giugno del ’40, con l’aggressione alla Francia, e fino alla destituzione di Mussolini nel luglio del ’43, nella sezione dedicata alle testimonianze e ai documenti che segue ogni capitolo dell’opera, quando si ricorda l’infausta dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, nel dicembre del ’41, è riportata la reazione di un contadino abruzzese, già immigrato Oltreoceano (quanto fa Fontamara!), alle parole del Duce: «Ma c’è stato, quello, in America?» (A. Scurati, M. – L’ora del destino, Bompiani, 2024, p. 324).

Per associazione, quella domanda retorica mi ha rimandato a ciò che spesso mi ritrovo a pensare quando semto sovranisti in cassœula e patrioti alla vaccinara ripetere che, con le sole forze nazionali e contro tutti, si riuscirebbe a rendere fiorentissima l’economia e solidissimo il cosiddetto «sistema Italia». Davvero? Cioè, nelle parole di quel contadino si leggeva in controluce la sua conoscenza “pratica” di quei luoghi di cui dal balcone l’altro retoricamente parlava. E non è difficile immaginarla, la differenza fra le due idee, tra cos’erano gli Stati Uniti negli anni Quaranta, e cosa l’Italia nello stesso periodo. Se solo, appunto, qualcuno ci fosse stato. Ed è tanto diversa, oggi, la realtà dei luoghi di cui si parla da quella che si immagina nelle visioni di grandezza di chi li evoca? Sinceramente, ne dubito.

Così, quando sento leader nostrani spiegare come questo sia il Paese in grado di battere tutti su qualunque argomento, dall’innovazione tecnologica alla cultura, dalla produzione industriale all’agroalimentare, che sia per un elogio del particolare regionale o un panegirico sulle virtù dell’Italia intera che tutto il mondo c’invidia, i miei pensieri non differiscono da quelli dell’anonimo contadino ricordato da Scurati.

Dopotutto, cafoni entrambi siamo, e di stirpe emigrante tutt’e due.  

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