«Mentre Scajola mobilitava i suoi a sostegno di Bucci, sul fronte opposto Andrea Orlando veniva costretto – da Giuseppe Conte con l’assenso non entusiasta dei vertici del Pd – ad epurare le proprie liste da esponenti renziani accusati di aver collaborato, nella stagione che si è appena chiusa, con Bucci sindaco di Genova. Ma che ora lo avevano lasciato ed erano tornati a sinistra. Cose che capitano in politica: qualche anno fa capitò anche a Conte e ai grillini di lasciare Matteo Salvini (in realtà era stato lui a lasciarli) per unirsi in matrimonio con Nicola Zingaretti. Ma se non è considerata una colpa passare dall’abbraccio con Salvini a quello con Zingaretti, che genere di reato è quello di mollare Bucci per Orlando?». Così Paolo Mieli, sul Corriere della Sera del 30 ottobre scorso.
Ora, su questo spazio non si è mai lesinata critica a Renzi, in particolare negli anni in cui non si poteva volger lo sguardo verso i luoghi della politique politicienne senza incontrare renziani effettivi e renzisti di complemento (molti dei quali, oggi, da annoverarsi tra i più critici di quella stagione, dopo averla in tutto sostenuta e votata, sed transet). Purtuttavia, il senso delle cose che scrive Mieli mantiene la sua efficacia: perché Renzi sarebbe un problema in virtù delle politiche messe in campo quando governava (e che sono state convintamente supportate da molti che nel Pd ancora siedono, tra l’altro), mentre il Conte dei decreti sicurezza con annessa photo-opportunity con l’allora alleato e capitano Salvini, no? È pur sempre per quanto fatto in quel governo, e con quel governo, che Salvini è a processo per sequestro di persona nei confronti di 147 migranti salvati da un terribile naufragio e trattenuti in mare per 19 giorni, è lì che è nato il caso Open Arms, in quei frangenti sono maturati gli eventi che hanno coinvolto i disperati sulla nave Diciotti della Guardia Costiera, in quella temperie culturale (absit…, eccetera, eccetera) che si è formata la locuzione «taxi del mare». Potrei continuare, ma sarebbe accanimento. Torniamo al punto: perché Conte può passare da Salvini a Zingaretti senza nemmeno cambiare pochette e venendo guardato dalla sinistra come «punto di riferimento dei progressisti», mentre a Renzi, la stessa sinistra imputa (in parte dopo averle approvate) l’eccessiva “destrosità” di alcune misure assunte? Curioso.
Ripetendo che non si sta qui prendendo le difese del rignanese, ma al contempo, per dirla con le parole del Poeta, non si cede al codardo oltraggio proprio perché non si è mai dato fiato e corda al servo encomio, ritengo decisamente più facile, sul piano politico, passare dal centro del centro-destra al centro del centro-sinistra, che non virare con gli stessi uomini e mezzi dal sovranismo truce al sapor di mojito al progressismo illuminato sulla via di Volturara Appula.
Soprattutto perché, in fondo, si tratta di decidere e di trarre le conseguenze di quello che si dice. E quindi, o la Meloni e l’attuale destra sono il peggiore dei mali che, rebus sic stantibus, potevano capitare a questo Paese (cosa che io credo, per inciso), e allora bisogna far di tutto per mandarli a casa, anche alleandosi con chi non condivide fin nelle virgole i nostri programmi, oppure va bene tutto così com’è, e aspettiamo tranquilli che le cose finiscano da sole.
Magari, chissà, qualcuno riscopre la vocazione maggioritaria e stavolta gli riesce. Sì, vabbè…