Il silenzio è complicità

Scrive Jonathan Blitzer sul New Yorker, a proposito delle disumane politiche in tema di immigrazione annunciate e lanciate dall’amministrazione Trump: «The only way to counteract such maneuvers is to call them out – something that the Democrats have yet to do. The President spoke publicly about the Guantánamo plan at a press conference where he signed the first law of his second term: the Laken Riley Act, named for a Georgia nursing student murdered by an undocumented Venezuelan immigrant last year. The law, which requires the detention of any undocumented person charged with a misdemeanor, such as shoplifting or minor theft, passed with bipartisan votes. Congressional Democrats and their staffs say privately that, on immigration issues, the voters “have spoken.” Trump’s promise to execute mass deportations may have helped him win, but it’s one thing for Americans to support a slogan and quite another for them to face up to the human consequences. If Democrats don’t look away, maybe the public won’t, either».

Permettendomi la traduzione, dice: «L’unico modo per contrastare tali manovre è denunciarle – qualcosa che i Democratici non hanno ancora fatto. Il Presidente ha parlato pubblicamente del piano su Guantánamo durante una conferenza stampa in cui ha firmato la prima legge del suo secondo mandato: il Laken Riley Act, intitolato a una studentessa di infermieristica della Georgia assassinata lo scorso anno da un immigrato venezuelano senza documenti. La legge, che impone la detenzione di qualsiasi persona senza documenti accusata di un reato minore, come taccheggio o furto di lieve entità, è stata approvata con voti bipartisan. I Democratici al Congresso e i loro staff affermano in privato che, per quanto riguarda l’immigrazione, gli elettori “hanno parlato”. La promessa di Trump di eseguire deportazioni di massa potrebbe averlo aiutato a vincere, ma una cosa è sostenere uno slogan, un’altra è affrontare le conseguenze umane. Se i Democratici non distoglieranno lo sguardo, forse nemmeno l’opinione pubblica lo farà». Era il senso del messaggio della vescova Mariann Budde, nel suo sermone dopo la cerimonia d’insediamento di Trump e come lei stessa, pochi giorni dopo, spiegava al Nyt: «I had a feeling that there were people watching what was happening and wondering if was anyone going to say anything? […] If was anyone going to say anything about the turn the country’s taking?». Proprio su questa orribile piega, non si può e non si deve tacere.

A stupire, come nota Blitzer, è il silenzio dem. Trump immagina i suoi States come una fortezza assediata, i cui confini devono essere ermeticamente chiusi, perché chiunque li attraversi può essere un problema e una minaccia. Su questa visione, è vero, ha vinto le elezioni. Ma i Democratici che gli si oppongono, su questo, tacciono o, peggio, non sono propriamente contrari. Tutti, anche i più radicali nel contrastarlo sul resto.

«Our God teaches us that we are to be merciful to the stranger, for we were once strangers in this land», aveva detto la vescova Budde guardando negli occhi il Commander in Chief; e non credo che quel Dio distinguesse in base ai documenti posseduti nel momento di attraversare quella linea tracciata dagli uomini e che chiamano confine. «Give me your tired, your poor,/ Your huddled masses yearning to breathe free,/ The wretched refuse of your teeming shore./ Send these, the homeless, tempest-tost to me,/ I lift my lamp beside the golden door!», dice il Colosso di Emma Lazarus, nella poesia riportata sul basamento della Statua della Libertà.

Noi non possiamo tacere.

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