«Ho grande stima di Elly Schlein e non credo sbagli a spostare il Pd verso sinistra. La scelta alle primarie è stata netta e i sondaggi la premiano. Un Pd più a sinistra può trasmettere un messaggio più chiaro agli elettori, cosa essenziale per un partito politico. Ciò detto, mi trovo ora a disagio su diversi temi. Una questione chiave è il ruolo che il “merito” debba avere nella società. […] A livello più specifico, di recente ci sono stati diversi casi in cui non ho condiviso le posizioni prese dal Pd, per esempio su aspetti del Jobs Act, sull’aumento delle accise sui carburanti, sul freno al Superbonus e sul compenso aggiuntivo per insegnanti che vivono in aree dove il costo della vita è alto, come suggerito da Valditara. Ho posizioni diverse da Elly Schlein anche sui termovalorizzatori, sull’utero in affitto e in parte anche sul nucleare. Qualcuno dice che, date queste differenze, dovrei cambiare gruppo parlamentare. Non sarebbe giusto, anche perché sono stato eletto col proporzionale e quindi senza una scelta diretta sul mio nome da parte degli elettori. Il primo dei non eletti mi sostituirà senza perdite di seggi per il Pd. Mi sembra la scelta più corretta».
Quelle sopra, sono parole tratte dalla lettera di Cottarelli a Repubblica, in cui spiega la sua decisione di lasciare il Pd e dimettersi da senatore in quel partito eletto. Non m’interessano i motivi che lo hanno spinto a quella decisione, ma il modo in cui la attua, dimettendosi da parlamentare, perché, spiega, eletto senza una diretta scelta degli elettori sulla sua persona. Rispettabile punto di vista, però foriero di diverse implicazioni. La sua risoluzione, infatti, a mio parere spiazza rispetto a molte altre di segno opposto che sono state effettuate da diversi esponenti di differenti gruppi politici. Cioè, se prendiamo per buona e corretta la sua valutazione, ci dovremmo poi chiedere se tutti coloro che sono eletti in liste che non consentono di indicare una preferenza diretta, possano successivamente cambiare gruppo parlamentare di appartenenza, se in dissenso con quello di elezione. E se fosse così, inoltre, dovremmo farci anche qualche domanda su quali confini rimarrebbero negli effetti pratici al principio di indipendenza del parlamentare da ogni vincolo di mandato. Non sto parlando della scelta personale di Cottarelli; mi interrogo su cosa questa potrebbe significare in un’ottica più generale, se davvero venisse presa a modello e paradigma per il corretto agire di ogni eletto in situazioni simili.
Domande forse superflue, immaginato lo scarso seguito di imitatori che la decisione dell’economista potrebbe avere nella realtà del parlamento nostrano. Però di sicuro un tema di riflessione, viste le esibite pulsioni teoriche (nei fatti, poi, poco si dimostrarono sentite, principalmente da coloro che più le avevano sostenute) che, qualche tempo fa, in partiti che furono maggioranza relativa, animavano un dibattito a tratti serrato, tanto da coinvolgere, nella discussione, altri esponenti del mondo politico e istituzionale, oltre a numerosi esperti, professori, commentatori.