Il punto non è la situazione, ma le risposte che a questa si danno

La “renzieide” è un’opera che non mi appassiona. Tutt’al più m’incuriosiscono le spiegazioni di quelli fino a ieri pronti a imporre il silenzio a chi non sosteneva a forza di applausi il Renzi che loro convintamente sostenevano, sostenendo che non facendolo avrebbe vinto la destra, mentre oggi sostengono che proprio sostenendo quello che sostiene lui si mina il governo-migliore-che-possiamo-avere, così da far vincere la destra. Lo so, gira la testa: ma è un effetto usuale, quando i cambiamenti d’opinione sono così repentini, radicali e rumorosi.

Così, quanti evocavano la forca e la gogna (e non solo mediatiche) per quelli che, sganciandosi dai partiti d’elezione, si fossero spinti a sostenere governi a lor sgraditi, ora, novelli Depretis, evocano simili scenari di trasformismo, benedicendoli e auspicandoli, se tesi a dar manforte a esecutivi retti da propri beniamini, riscoprendo le virtù del sistema parlamentare e dell’assenza da vincolo di mandato. La tesi che più di tutte moralisticamente poggia sull’ineluttabilità è quella per cui, si dice, «con una pandemia in atto, è da irresponsabili cambiare un governo». Cosa che può avere un senso, per carità, ma si basa sul presupposto, non dimostrato nella semplice formulazione della tesi, che il governo in carica stia facendo tutto in maniera ottimale, o almeno al massimo possibile, e che un altro non possa fare meglio. Pongo la domanda al contrario e in via del tutto ipotetica (e chiarisco, per i pedanti, che non sto dicendo in alcun modo che così sia, né che un altro governo possibile e disponibile potrebbe far di più di quanto viene fatto dall’attuale): «con una pandemia in atto, sarebbe responsabile tenere in piedi un governo che dimostri di non essere all’altezza del compito assunto?».

Dopotutto, un cambio di governo importante in un Paese fondamentale per gli equilibri del mondo c’è stato e sarà esecutivo fra qualche giorno, pur nel turbinio, inconcepibile in un’altra epoca, delle cose che vediamo accadere; eppure, quasi tutti quelli dell’imprescindibilità del governo Conte brindano all’evento – e anch’io con loro. Certo, immagino l’obiezione: «ma lì si era arrivati a scadenza naturale». Ovvio, è così. Nondimeno, è naturale pure che, in un sistema come il nostro, un governo a cui vengano a mancare i voti in Parlamento decada.

Ripeto, il tema, dal mio punto di vista, non è il momento che stiamo vivendo rispetto a un eventuale cambio di governo, ma se nel farlo o meno si tragga o meno un vantaggio per il Paese. Se cioè, considerando i fatti nella loro completezza, tutti i pro e i contro, mantenere l’attuale maggioranza e gli attuali ministri sia, nell’ottica di chi propone una soluzione piuttosto che un’altra, positivo per le sorti della nazione, o se invece, cambiandoli, si possano ottenere risultati migliori, in grado di ripagare per gli inevitabili scompensi dovuti alla formazione d’un nuovo esecutivo.

Voglio dire che sarei felice se Conte fosse sostituito da qualcun altro? Non sto parlando del caso specifico, ma in generale della possibilità che le cose avvengano, persino in una situazione oggettivamente complicata, come quella che stiamo vivendo da quasi un anno a questa parte. Però, siccome non voglio sottrarmi a chi potrebbe chiedere di esprimere un potenziale parere sul governo e sugli uomini che lo guidano, dico solo che, a mio giudizio, parlano per Conte gli atti firmati con Salvini.

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