È uno strano Paese questo, dove non si può parlare di tassare i ricchi senza scontentare anche quelli che ricchi non sono, ma non si riesce a parlare dei poveri perché, per non disturbare il pranzo dei ricchi, semplicemente, è meglio tacerne. E intanto quelli, i poveri, diventano ancora più poveri e diventano ancora di più. In una spirale, per loro, terribile, straziante e con sempre minori intraviste vie d’uscita.
Gli ultimi dati (ripresi in un articolo di Valentina Conte, per Repubblica) parlano di 8,8 milioni di poveri in Italia, a cui, nel prossimo anno, potrebbero aggiungersene altri 5 milioni, trascinati in miseria pure dagli effetti economici delle misure intraprese per tutelare la salute pubblica. Di questi ultimi, oltre un milione sarebbero bambini e ragazzi, che si aggiungerebbero ad altrettanti già in quelle condizioni. Parliamo di fame, scarse cure sanitarie, istruzione nulla o a intermittenza su cui i lunghi mesi di didattica a distanza di certo non hanno giovato e non giovano. La Caritas informa che ad aprile, mentre ci immaginavamo tutti canterini sui balconi, le richieste di aiuto per i bisogni primari nelle loro strutture sono aumentate del 105% su scala nazionale, del 153% al Sud. Quando parliamo di misure da adottare, ricordiamoci che c’è chi, per quelle, paga in solido. E molti ben al di sopra delle loro possibilità.
Sono questi i motivi per cui ritengo giusto tassare di più i patrimoni di quelli che ne hanno di più ingenti. E aggiungo, in questa fase di congiuntura straordinaria, anche i redditi di chi non ha visto contratti i propri (io fra questi, il mio per primo). Perché, vedete, non si tiene in piedi una società in un Paese ricco in cui quelli che sono in povertà (fra assoluta o relativa, è una distinzione che comunque comprende privazioni importanti) rappresentino un quarto del totale della popolazione.
E quando una società fatica a stare in piedi, ragionevolmente, rischia di crollare.