Il cinismo degli scettici e il bisogno di avere fiducia

«Io ho bisogno di avere fiducia», mi scrive una carissima amica in uno scambio di messaggi a proposito della situazione che stiamo vivendo e delle risposte che a questa si stanno tentando di dare, da parte dei singoli e dei governi. Devo ammettere che, nel leggerle, mi sono sentito decisamente in colpa e inadatto.

Non che io sia precisamente un allievo di Pirrone di Elide, però, come lui dando per accertati i limiti alla conoscenza, mi esercito nel dubbio rispetto alle decisioni che, sue quella e forti di essa, vengono assunte e spiegate. Così, quand’anche socraticamente io le accetti non condividendole o pure nell’ipotesi in cui le reputi razionali e sensate, non posso non nutrire il mio approccio critico e persino un certo disincanto. Ma così facendo, quando questi vengono palesati, è come se dessi un colpo alle certezze di quanti hanno, appunto, bisogno di avere fiducia. E sinceramente, non so se sia giusto da parte mia farlo.

Ovviamente, non mi sto autocensurando e continuerò a praticare l’arte della domanda che muove dalla considerazione che non tutto è conoscibile, pertanto è sempre probabile che ogni interpretazione della realtà sia inesatta, per la complessità che il mondo continuamente propone. Quello che mi interroga congiuntamente, però, è se ho il diritto di mettere gli altri dinanzi al mio dubitare, con l’effetto, per quanto non voluto comunque manifesto, di colpire quella necessità che alcuni di essi, invece, avvertono e sentono importante.

E non so, appunto, se è giusto che io me l’arroghi, quel diritto.  

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