Il mondo nuovo. Quasi come Huxley

Nel 1988, Guccini pubblicava il suo quattordicesimo album: …quasi come Dumas…. Erano passati vent’anni dal ’68 e dai giorni delle sue esibizioni in pubblico e registrazioni, e così, Vent’anni dopo, appunto, come il romanzo centrale del ciclo dei moschettieri di Alexandre Dumas, tornava indietro coi ricordi e, nel titolare il suo lavoro, pensava al papà di D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. L’altro giorno, in macchina andando al lavoro, riflettevo su alcune cose lette in questi giorni, e mi sono ritrovato a pensare al mondo nuovo. Pure a quello immaginato da Aldous Huxley.

In effetti, alcune assonanze suggestive le ritrovo. Soprattutto, mi spaventa la similitudine che colgo tra i giorni che viviamo in alcuni commenti che ascolto e la repulsione per la contaminante e feconda, nel senso proprio della fertilità, vicinanza, diciamo così, fra gli umani che i protagonisti della società civilizzate nell’era Ford, anno 632 (così è il distopico 2540 di quel romanzo, contato a partire dalla prima produzione del Modello T della casa automobilistica americana), provano, per lunga educazione e formazione contronaturale, rispetto alle vite degli uomini. Lì arrivando al parossismo di immaginare ormai gli esseri umani non più vivipari, generanti solo ed esclusivamente attraverso fecondazione in vitro e sviluppo degli embrioni in seriali fabbriche, qui coniando il brutto e ossimorico concetto del «distanziamento sociale», che è di più, quale idea, dei metri tra me e l’altro, ma, appunto, sociale, come se potesse esserne data una in cui ognuno sta per sé, atomo indisponibile ad accostarsi e legarsi in prossimità con altri.

Suggestione? Certo, è quanto premesso all’inizio del post. Però un po’ mi chiedo se saremo in grado di tronare indietro. Se torneremo, come pure s’è detto, con facile retorica da murales (infatti, quella è persino diventata) a riabbracciarci, o se invece non ci lasceremo sedurre sempre di più dalla possibilità e sicurezza di far quello che facciamo senza vedere nessuno, se non attraverso il brillare blu di uno schermo ormai in grado di restituirci un’immagine di mondo con risoluzione migliore di quella che avremmo guardando fuori.

Per quanto non sempre vera, s’intende.

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