Come evitare che sui gradini della conoscenza si replichino le distanze della disparità?

«In questo passaggio di secolo una ondata di ottimismo avvolge il nostro mondo progredito: l’informazione sembra aprire spazi illimitati alla crescita, il virtuale scavalca il reale, i servizi scavalcano l’industria, la nuova economie scavalca la vecchia. Naturalmente siamo tutti richiamati a possibili delusioni. Ma vi è oggi, molto di più che in passato, un elemento distintivo del benessere e della stessa promozione individuale e sociale: è il sapere, la conoscenza. Ho riflettuto su di essa col mio amico sindacalista Andrea Ranieri, che vi è entusiasticamente impegnato. È vero, accanto al guadagno, al reddito, intrecciato con esso e ancor più importante di esso, vi è il sapere, la conoscenza. La sostanza della politica diventa la formazione che deve durare tutta la vita, necessaria per governare il cambiamento e anche solo per stare a galla. È bella questa corsa verso il sapere diffuso, di tutti, è una corsa verso l’alto, sapendo che il sapere in alto si diffonde e permea di sé il sapere medio. Ma c’è anche chi non ce la fa, possono essere pochi, possono essere molti, moltissimi. C’è chi prima o poi ce la farà e chi non ce la farà e sarà costretto a restare sotto. La crescita del reddito dava vita alla disuguaglianza, non è lo stesso, e forse peggio, per la conoscenza? Col reddito vi sono speranze di uscirne, molto meno con la conoscenza. Come impedire quella che si chiama ghettizzazione, l’inchiodamento sociale verso il basso? La mobilità è un bene se non vale solo per chi sta in alto, se vale per tutti. Il mondo cambia, è già cambiato, ma molte domande restano le stesse». (V. Foa, Passaggi, Einaudi, 2000, pp. 148-149; il paragrafo è datato 1999)

Ricordavo d’averlo letto tempo fa, e ricordavo anche di aver sentito parlare sul tema l’amico sindacalista che Vittorio Foa cita in quel suo appunto, Andrea Ranieri, incontrato e conosciuto in uno dei tanti passaggi che la vita mette davanti e apprezzato da subito e ancora. A quelle parole di Foa sono ritornato con la mente in questi anni molte volte. «La crescita del reddito dava vita alla disuguaglianza, non è lo stesso, e forse peggio, per la conoscenza? Col reddito vi sono speranze di uscirne, molto meno con la conoscenza». No, non basta dire che il riscatto passa attraverso lo studio, perché può non essere vero e non essere sufficiente. Se per risolvere le diseguaglianze di reddito basta darne di più a chi ne ha di meno, lo stesso non si può dire per quelle culturali e formative. Se posso dire, in ipotesi e non che sia mai accaduto, di aver abolito la povertà per decreto, erogando sussidi e sostegni a chi ne ha bisogno, è difficile immaginare che qualcuno possa affacciarsi a un balcone annunciando, ope legis, la fine dell’ignoranza. Semplicemente perché è più difficile, molto più difficile, farlo.

Perché concorrono vari fattori, nella determinazione di quel tipo di differenze; dinamiche sociali, familiari, e individuali. E non su tutte queste si può agire con successo. Ma allora, però, come evitare, si chiedeva Foa e mi chiedo io, che proprio su quel campo si giochi la partita della disparità? Che su quel terreno e in quella scala si ripropongano, addirittura amplificandosi, le distanze fra gli scantinati della marginalità e gli attici del prestigio?

Scongiurando epiloghi come quello nella distopia di Michael Young, chiaramente.

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