Decidessero almeno il colore dei cartelli

I giornali di queste ultime settimane danno notizia di scontri all’interno della maggioranza, rischi di rallentamenti e paralisi nell’azione governativa, che già, a essere onesti, non dà l’idea di correre di suo, passi avanti e passi indietro, di lato, a destra, a sinistra, changer; più che un confronto, pare una quadriglia. E pure l’immagine del premier sembra essersi un po’ appannata, con l’arrivo di numeri meno cupi dal fronte virale.

L’uomo che, nei giorni più tristi degli ultimi decenni, faceva tremare il Paese al solo annuncio di diretta video serale, o notturna, al contempo persuadendo (seducendo, dicevano alcuni; sfruttando dinamiche da sindrome di Stoccolma, commentavano i cinici) tutti a dargli fiducia sulla bontà della sua azione, ora non convince più così tanto. Certo, anche un minus habens può dire «state a casa», soprattutto se ciò è da intendersi senza se e senza ma; è quando però si tratta di decidere come uscire dopo e dalla tempesta che i nodi vengono al pettine (ovviamente, né la scelta della locuzione latina, né il riferimento implicito alla sistemazione dei capelli muovono da giudizi o considerazioni sulla figura del presidente del Consiglio o sulla sua, peraltro, sempre impeccabile chioma; l’una e l’altra, infatti, non ispirano in me alcun commento). Ma è proprio quella la domanda: ora, che facciamo?

E lì, ne sentono di tutti i colori. «Usiamo i soldi del Mes», «Giammai! Sono sterco del diavolo», «Riapriamo le scuole», «No, col plexiglass!» (che dev’essere un improperio, credo), «Diamo i soldi a chi servono, particolarmente ai poveri», «Quali poveri? Non ce ne sono più; la povertà è stata abolita!». E provengono tutti, quei colori, dall’interno della stessa maggioranza di governo, che dovrebbe indicare la strada da seguire, mentre fa confusione già sui cartelli da utilizzare per segnarla.

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