«Delle arti alcune sono dimostrabili, altre indimostrabili; dimostrabili quelle la cui creazione è in potere dell’artista stesso che, nella dimostrazione, non fa che ricavare le conseguenze della propria operazione. La ragione di ciò è la seguente: la scienza di ciascun oggetto deriva da una preliminare cognizione delle cause e della generazione e costruzione del medesimo; per conseguenza, se la cause sono note vi è luogo per una dimostrazione, ma non se le cause siano da investigare. Perciò la geometria è dimostrabile, in quanto le linee e le figure di cui ragioniamo sono tracciate e descritte da noi stessi e la filosofia civile è dimostrabile perché noi stessi costruiamo gli Stati. Ma poiché non conosciamo la costruzione dei corpi naturali ma la ricerchiamo dagli effetti, non c’è dimostrazione di quali sono le cause che noi cerchiamo, ma solo di quali possono essere».
Ho citato Hobbes (da Sei lezioni ai professori di matematica, 1656, VII, 183,), ma avrei potuto chiamare a sostegno Vico o altri. E non per opporre una visione costruttivista agli analisti del tempo presente, ma semplicemente per dire che, spesso, chiamiamo evidenza scientifica quello a cui ci aggrappiamo come a verità di fede. Quando proprio non ci riusciamo, abbracciamo una coperta di numeri e, con quella, cerchiamo di proteggerci dalla resistenza della realtà ai nostri schemi. Cosa intendo? Guardate all’approccio che hanno molti nei confronti della tragedia pandemica: si cerca di spiegarla e capirla esclusivamente con modelli matematici e statistici. Su questi, alcuni fondano la certezza di seconde ondate in autunno. Seconda ondata, sia chiaro, che potrebbe esserci. Oppure no, con buona pace dei modelli utilizzati per prevederla.
Non credo debba chiarire che non sto facendo alcuna professione di scetticismo nei confronti del pericolo contagio, però non posso smettere di guardare al fatto da altre angolazioni. Il virus potrebbe sparire domani, così come ieri è comparso e come è accaduto in altri casi (vedi quello da cui questo mutua il nome); sto dicendo che andrà così? No, io non lo so. Ma non lo sanno con assoluta certezza nemmeno quelli che assicurano di sapere quando e quante ondate ci saranno e chi le porterà.
E non sto nemmeno dicendo «apriamo tutto, si contagi chi può e vivano i migliori», perché questa visione nazista dell’Übermensch non mi è mai appartenuta (e mai è nemmeno appartenuta a chi quel concetto dell’Übermensch pensò, dato che lo voleva “oltre”, non “sopra”, e tanto da non contrapporlo mai a un “Unter”. E quando gli capitò di usare questo secondo prefisso, fu nel descrivere la fertile mitopoiesi delle civiltà politeiste. La citazione è solo quale aiuto a spiegarmi: «L’invenzione di dèi, eroi e superuomini di ogni genere, oltre che di parauomini e subuomini, di nani, fate, centauri, satiri, demoni e diavoli, fu l’inestimabile propedeutica alla giustificazione dell’egoismo e dell’autocrazia del singolo» – F. W. Nietzsche, La gaia scienza, 1882, libro terzo, aforisma 143). Ritornando a quanto dicevo prima, cerco di stare al mondo nel tempo e nei modi che ho davanti, senza cinismo né sconsideratezza, ma lontano da ansie e paure da fine dei giorni.
A dirla tutta, proprio rispetto alla situazione che stiamo vivendo, se una voglia di dominio e perfezione esiste, semmai la scorgo in chi non accetta che la malattia faccia parte delle possibilità dell’esistenza, e per questo cerca di eradicarla ancor prima e di più che curarla. Questo virus esiste, è un fatto, e si teme la seconda ondata perché lo dicono modelli statistici e matematici, che però sono un’approssimazione alla realtà, non la realtà. Domani, invece, potrebbe sparire, come dicevo, o mutare in modo da non esser più letale, come altre volte è accaduto, e potrebbe arrivarne un altro, non previsto come non lo era questo fino all’inizio dell’anno. Che faremo allora? Accetteremo che lo stare al mondo sia imperfetto e caduco, o cercheremo disperatamente di dominare gli eventi che non riusciamo a determinare?