Quelli per cui costa caro, l’apprezzamento della città

Scrive sul numero del primo giugno del New Yorker Nathan Heller, in un bel reportage dalla città del Golden Gate Bridge e delle persone gentili con i fiori nei capelli, per cantarla con Scott McKenzie, sulle condizioni dei senzatetto (fenomeno crescente in California non più che da altre parti negli Usa, da New York alle Hawaii, passando per Washington D.C., ma lì «simply more visible»), che, da uno studio dell’Università del New Hampshire e del sito di ricerche immobiliari Zillow, emerge «that homelessness numbers started climbing when median rent exceeded twenty-two per cent of median income, and shot up when it reached thirty-two per cent. In San Francisco, despite its high salaries, the median rent-to-income figure rose above thirty-nine per cent. A professional can earn what even a decade ago would have appare a princely wage and still feel a cold updraft from the gap below. That’s alarming, beacause San Francisco, Seattle, Boston, and New York are non outliers when it comes to economic trends; they’re leading indicators».

Esattamente: quelle città non sono anomalie, ma i principali indicatori delle tendenze economiche in atto. La San Francisco dei lavori creativi, e strapagati, delle multinazionali della Silicon Valley, si apprezza; non nel senso, o non solamente in quello, del giudizio kantianamente inteso, ma proprio in quello espresso dall’economia e suoi valori immobiliari. Diventa cara, e, progressivamente, con quella dinamica e quei parametri dello studio citato da Heller, caccia quanti che, con le loro risorse e redditi, non riescano a starle al passo. E succede negli Usa, come in Europa. Pochi mesi fa, leggevo che nel quartiere di Kreuzberg, a Berlino, i residenti hanno protestato contro l’apertura di un campus di Google, proprio per il timore degli effetti gentrificatorii (prima o poi, però, un termine migliore bisognerà trovarlo) che questo avrebbe potuto comportare. E sempre a Berlino, dal contiguo quartiere di Friedrichshain, è partito un movimento che chiede l’esproprio nei confronti dei gruppi immobiliari con più di tremila appartamenti per destinarli a fini sociali e all’affitto a canoni calmierati (nelle prime proteste, è apparso un cartello con su scritto «Faire Mieten für Alle», affitto equo per tutti, durante una manifestazione sulla Karl-Marx-Allee; riempie il cuore).

Non va meglio in Italia, se pensiamo alle difficoltà che può avere una famiglia a Roma o a Milano, dove il prezzo medio per l’affitto – fonte: Immobiliare.it, mese di maggio 2020 – arriva anche ai 20-25 € al metro quadrato, 1.200-1.500 € al mese per un appartamento di 60 m²; provateci, a formare una famiglia e crescere dei figli con un contesto come quello di una grande area urbana, non avendo un appartamento di proprietà e dovendo pagare solo per la casa più di quello che è oggi lo stipendio medio nel nostro Paese. Perché una famiglia, una vita, la costruisci sotto un tetto, o non la costruisci.

Altre cose, sfiducia nel domani, apatia sociale e civile, persino rabbia, sono conseguenze.

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