Se il ponte di Johnson finisse per unire due Stati dell’UE

Per rilanciare i sentimenti unionisti (nel senso inglese) in Irlanda del Nord e Scozia, Boris Johnson sta pensando di riprendere il progetto di costruzione di un ponte fra Gran Bretagna e Irlanda, che, per ragioni geografiche ancor prima che per decisione governativa, non potrebbe non essere costruito tra il Kintyre e l’Ulster, magari nella suggestiva Torr Head, o poco più a sud.

Al di là delle difficoltà tecniche e dell’aspetto chiaramente “distrattivo” del suo annuncio, la questione del ponte è curiosa. Soprattutto adesso, quando il governo scozzese chiede un altro referendum sull’indipendenza e l’unionista Sinn Féin (unionista, qui, nel senso irlandese, s’intende) potrebbe trovarsi a far parte di tutti gli esecutivi sull’isola d’Irlanda, a Dublino come a Belfast. E siccome entrambe le realtà, quella irlandese e quella scozzese, hanno forti sentimenti unionisti (ma nel senso, stavolta, europeo), Boris lo spettinato potrebbe trovarsi a finanziare e realizzare un ponte che unisca, lì nel nord, due Stati della sua odiata UE; non sorriderne, a quel punto, potrebbe risultare difficile.

Ora, siccome credo che il ponte nel Mare d’Irlanda abbia le stesse possibilità di proiettare l’ombra delle sue arcate quanta ne attribuisco a quello sullo Stretto di Messina, il problema, in concreto o nella finzione che ho appena immaginato, non si porrà. Rimane comunque il fatto che ha mosso la dichiarazione del leader inglese: Londra ha paura dei sentimenti disgregativi che animano diverse parti dell’UK.

Ed è un fatto con cui, di qua e di là dalla Manica, dovremo farci tutti i conti.

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