«È stata una scelta molto sofferta. Ho ritenuto di lasciare il Pd perché non mi riconosco più, né nel merito, né nel metodo. Ho voluto aspettare la votazione della legge elettorale per il rispetto del ruolo istituzionale che ho, che mi imponeva di mettere da parte i miei convincimenti e sentimenti per rispettare il mio ruolo». Così il presidente del Senato, nello spiegare la scelta di lasciare il proprio gruppo d’appartenenza.
Curiosamente, nel mentre fornisce loro un attestato di riconoscenza, i vertici del Pd parlano di scelta sì da rispettare, ma per nulla condivisibile. In che senso, cari amici renziani? Guardate che Grasso sta dicendo che il Pd di oggi non è il Pd di Bersani con cui si era candidato; non è quello che dite pure voi? Non ci ammorbate da anni (perché ormai sono anni che siete lì, alla guida di ogni cosa nel Paese, Pd compreso) con la retorica del cambiamento per il cambiamento? Stupisce che ve la prendiate con quelli che, in qualche modo, vi danno ragione, con Grasso e con quanti sono andati via dicendo, appunto, che il Pd era cambiato, troppo cambiato. Delle due, l’una: o il partito che adesso guidate è cambiato davvero, e allora avete avuto ragione voi e, di conseguenza, ha ragione Grasso e chi come lui dice che non è più il Pd al quale aveva aderito; oppure è rimasto tutto così com’era. In quel caso, Grasso ha torto, ma voi non potete dire d’aver cambiato alcunché.
Perché, vedete, alcuni ritenevano che il Pd dovesse essere quel qualcosa a cui pensava Bersani. Incidentalmente, anche chi scrive era fra questi. Giusta o sbagliata che fosse, era la loro idea, di politica e di partito. Voi, amici carissimi, avete inteso fare altro, sventolando ai quattro venti, in pensieri, parole, opere e omissioni, una diversità radicale. E quella avete cercato e, a vostra detta, perseguito. Per poi, incoerentemente, stupirvi che qualcuno vi riconosca il lavoro fatto.
Certo: andandosene, e lasciandovi tutto lo spazio che serve a dispiegare le vostre idee.