La politica (non sempre, ma a volte) ha pure ragioni politiche

Da ultimo, ieri, sul Corriere della Sera, Paolo Mieli ha criticato le scelte di chi proprio con il partito di Renzi non vuole andare, in un editoriale dall’inequivocabile titolo: «Farsi male (ancora) a sinistra». E pochi giorni fa era toccato a Massimo Giannini, dalla rubrica RadaR per il sito de La Repubblica, parlare del “tafazzismo” (che noia) di quella stessa parte politica «che rischia di perdersi e perdere» per le sue divisioni. Divisioni che, poco prima che ci lasciasse, aveva stigmatizzato pure Umberto Eco, nella sua storica La bustina di Minerva su L’Espresso, spiegando che precisamente quelle avevano impedito alla sinistra di governare e, aggiungendo (e stupendo per una superficialità conformista degna d’un Michele Serra qualunque), per quanto lasciando precedere l’osservazione da un condizionale e un avverbio, temo più di circostanza che di sostanza, «per sua fortuna, perché allora sarebbe stata costretta a dire dei sì, con tutti i compromessi che comporta il prendere decisioni di governo, e dicendo dei sì avrebbe perduto quella purezza morale che la vedeva sempre sconfitta e caparbiamente capace di rifiutare le seduzioni del potere».

Ora, sommessamente, vorrei far notare che forse, forse, il tema non è tanto la forma con cui una parte politica dice di volersi presentare alle elezioni, ma la sostanza delle cose che vuole fare. Anche perché ritengo che la prima sia conseguenza delle seconde. Insomma, il Pd sceglie Alfano in Sicilia perché ha in mente di far politiche che con lui vengono bene. Di conseguenza, chi quelle politiche non le condivide al punto di avversarle da sempre, non può che andare da un’altra parte. Non c’entra il “divisionismo” della sinistra: c’entra il fatto che ci sono alcuni a cui va bene Alfano e tutto quello che significa, e altri a cui no. È un fatto politico, non estetico. Ed è un fatto politico pure perché non è una questione privata o di interessi particolari, mentre a ciò viene ridotta la politica da quanti inseriscono un personaggio come Tafazzi (dopotutto, cosa c’è di più privato e particolare del posto su cui la creatura di Giacomo Poretti si colpiva?) quale metafora nel discorso che di essa ne fanno.

Elusi il “divisionismo” e il “tafazzismo”, provo a dare altre spiegazioni. Supponiamo (ma lo dico solo come ipotesi) che qualcuno, alle parole che la nuova classe dirigente del Pd diceva in campagna elettorale credesse davvero. Che credesse che mai con la destra significasse realmente (pensate voi l’ingenuità) mai con la destra, né con Berlusconi e Verdini per le riforme, né con Sacconi per le questioni del lavoro o, appunto, mai con Alfano in Sicilia e in tutto il resto del Paese. Che credesse che il cambiamento non fosse realizzare quello che i governi di centrodestra non erano riusciti a fare, dall’abolizione dello Statuto dei lavoratori alla chiamata diretta degli insegnanti, dalla libera trivella in libero mare a un Piano casa come misura securitaria per la felicità dei ricchi e la disperazione dei poveri, fino agli accordi con la Libia per farne il gendarme cattivo contro i disperati alla ricerca di una vita migliore, come quello, se non peggio, che avevamo criticato ai tempi in cui sulle sabbie di Tripolitania e Cirenaica dominava il Colonnello con la tunica. Che credesse che una politica nuova dovesse essere quella capace di fare cose differenti, non le stesse con volti e nomi diversi. Non avrebbe qualche motivo di delusione e qualche ragione per cercare di contrastare quello che vede continuamente perpetuarsi, addirittura al punto (eresia!) di non augurarsi la vittoria di quelli che tutto questo hanno fatto, e smettere di collaborare per determinarla?

Perché se ai convertiti sulla via del potere va bene fare e approvare tutte le cose che si contestavano e combattevano prima, ci possono essere pure quelli che, legittimamente, continuano a ritenere valide le idee che avevano un paio d’anni fa. E non perché siano votati al martirio continuamente comico. Semplicemente, si ricordano delle cose che dicevano e le dicevano perché davvero le pensavano (e le pensano) giuste.

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2 risposte a La politica (non sempre, ma a volte) ha pure ragioni politiche

  1. Fabrizio scrive:

    Camilleri: “Montalbano se ne andra’,sparira’ senza morire”

  2. Fabrizio scrive:

    Camilleri :”Montalbano se ne va , sparira’ senza morire”

    p.s. commento corretto che annulla quello precedente.

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